Michele ci racconti di Lei, chi è Michele Achille come persona?
Sono nato in Puglia in provincia di Bari, esattamente a Bitonto ma a 18 anni sono andato via e mi sono trasferito a Roma per i miei studi. Roma è la città in cui mi sono formato e sono cresciuto culturalmente e spiritualmente. a Roma ho imparato a conoscere me stesso e relazionarmi con gli altri ed è li che ho coltivato i miei interessi per l’arte, l’architettura e la moda. Sono una persona che pur lavorando in un settore leggero non ha mai perso il senso di concretezza e contrariamente a chi fa questo lavoro sono molto schivo. So riconoscere i miei limiti ma meno i miei pregi poiché sono molto esigente con me stesso e questo ha radicato in me un senso di umiltà che oggi manca a molti e che ritengo sia importante per crescere nel lavoro che fai. Sono una persona che detesta le scelte radicali ma gli eventi e la vita mi hanno sempre posto dinnanzi a queste scelte ed è proprio grazie a queste scelte che sono diventato quello che sono. Sono una persona che da piena fiducia agli altri con grande apertura ma che al tempo stesso si chiude senza possibilità di replica se questa fiducia viene tradita. Ho un forte legame con la mia famiglia e con mio marito Philipp che sa tenere a bada i miei slanci dettati a volte da entusiasmi temporanei .
Da architetto a stilista. Come avviene questo passaggio?
L’architettura è sempre stata una mia grande passione, infatti mi sono trasferito a Roma per studiare architettura ma la moda mi ha sempre attratto poiché mio padre era un sarto che ha dato vita ad un’azienda di abbigliamento. All’epoca i miei non erano d’accordo che facessi studi di moda ma volevano che mi laureassi per cui scelsi Architettura che oltre a piacermi mi sembrava attinente alla mia passione per la moda e soprattutto mi dava la possibilità di lasciare la mia città natale che sentivo troppo stretta per me e per i miei sogni. A Roma scoprii l’Accademia di Moda e Costume e ne rimasi folgorato. Mi iscrissi al primo anno di corso senza dire nulla ai miei genitori, ma lo scoprirono presto, la mattina frequentavo l’Università per non dispiacere ai miei genitori ed il pomeriggio l’Accademia. Sono stati anni impegnativi a livello di studi ed infatti ho sostenuto regolarmente esami ad entrambi i corsi con buoni risultati. Mi appassionavo a progettare ma ancora di più a disegnare abiti e costumi storici. Adoravo studiare storia dell’arte e storia dell’architettura ma al tempo stesso ero attratto dalla storia del costume. Insomma a Roma, anni 80 nel pieno dello splendore di quegli anni io studiavo come un folle per raggiungere i miei obiettivi senza farmi travolgere dalle mille tentazioni che la città offriva. Durante l’ultimo anno di Accademia ho cominciato a lavorare con uno stilista Romano, Osvaldo Testa, che mi ha insegnato praticamente tutto e mi ha dato la conferma che il mio mondo era la moda da uomo. Mondo tra l’altro che apparteneva anche a mio padre di cui avevo sempre apprezzato le sue capacità sartoriali e creative. Il paradosso è stato che lui non era d’accordo che studiassi moda ma alla fine ho lasciato Roma per tornare da lui in Puglia poiché aveva bisogno di me per la sua azienda. Ma la vita è così, è imprevedibile .
Mi spieghi meglio come nasce la sua passione per la moda?
Non saprei dirti come nasce questa passione, forse ci sono nato e forse l’ambiente familiare l’ha alimentata. Non vorrei annoiare il lettore con il solito clichè del bambino che preferiva vestire le bambole delle mie sorelle al calcio ed ai soldatini.
Quali sono gli stilisti del passato dai quali si sente maggiormente influenzato o da cui trae ispirazione?
Forse sono banale nel rispondere Gianfranco Ferrè. A tutt’oggi mi ispiro a lui per l’approccio progettuale e costruttivo di una collezione e di un capo. Onestamente non mi sento molto influenzato da stilisti contemporanei. Mi piace Dries van Noten poiché e’ uno dei pochi che non gioca con il logo ed è riconoscibile per il suo stile. Mi piace Kim Jones per alcune cose soprattutto quelle più minimali poiché mi ricordano molto l’architettura. Da ultimo potrei citare Tom Ford. Ecco per me lui è “l’uomo”.
Lei è uno stilista specializzato nella creazione di abbigliamento maschile, la domanda nasce spontanea è più difficile creare per un uomo o per una donna.
Sono difficili entrambi e richiedono approcci diversi. Certo oggi con le nuove tendenze del no gender queste differenze e questi approcci si riducono molto. Ma onestamente credo che l’uomo sia più difficile poiché c’è meno libertà di espressione, più attenzione alle vestibilità. Nelle creazioni maschili hai meno elementi per creare quella giusta innovazione che non trascenda dallo stile.
La sua conoscenza open spazia dalla ricerca del materiali alla creazione sartoriale del prodotto includendo tutti i processi ad esso connessi, accompagnata da una conoscenza attenta del mercato, in particolare di quello cinese nel quale ha avuto modo di misurarsi negli ultimi sette anni occupando il posto di responsabile stilistico di un’affermata azienda di Pechino di cui ha curato le linee di abbigliamento internazionali. Come si muove la Cina in questo settore e se lei nel mercato cinese ha trovato ispirazione per la sua arte.
La Cina per me è stata una sfida. A 50 anni compiuti ho deciso di affrontare questa sfida e sono felice di averlo fatto . In Cina mi ha aiutato moltissimo la mia esperienza poiché sono approdato lì non solo come un semplice designer ma anche come uomo prodotto. Ho trascorso il primo mese girando per le maggiori città cinesi per capire il mercato e le esigenze del consumatore cinese e solo dopo aver acquisito questa conoscenza ho cominciato a creare collezioni per loro. Disegnavo soprattutto collezioni di marchi internazionali di cui la società cinese deteneva la licenza per cui la mia creatività faceva i conti con esigenze di mercato completamente diverse da quello occidentale. E’ stato un esercizio difficilissimo per me trovare il giusto rapporto tra innovazione stilistica e gusto del consumatore cinese. I riscontri tra l’altro erano immediati poichè le collezioni disegnate da me erano vendute direttamente da negozi di proprietà della società per cui lavoravo. I risultati sono stati ottimi ed hanno confermato che il mio approccio a questo progetto era giusto. Molti designer occidentali arrivavano in Cina con la pretesa di imporre al mercato le loro idee e questo approccio era sbagliato tanto che non duravano per più di una stagione io invece ci sono rimasto sette anni e lasiare la Cina è stata una mia scelta.
Quando sono tornato ero ancora più forte di prima professionalmente poiché la Cina mi ha preso tanto ma mi ha dato anche tanto. Ero però stanco di compromessi tra ciò che piaceva a me e ciò che il mercato richiedeva per cui ho deciso di lanciare una mia linea in cui potessi esprimere tutto me stesso.
Adesso la Cina è cambiata molto ed il Covid ha cambiato le prospettive. Dal punto di vista del design è molto più autonoma di prima senza contare che già da molti anni c’è stato un fermento nel mondo dell’arte contemporanea che ha proiettato gli artisti cinesi nel panorama internazionale.
Molti brand cinesi sono diventati autonomi ed hanno raggiunto ottimi risultati creando collezioni all’avanguardia e di ricerca. C’è in questo momento un moto di orgoglio nazionale ed i brand cinesi non si sentono più dipendenti da creatori occidentali ma hanno saputo creare una propria identità ed in alcuni casi con grande successo specie tra i giovani stilisti emergenti.
Qual’è il marchio, il segno che contraddistingue le sue creazioni e che meglio la rappresentano.
Il mio punto forte è il capospalla che deriva da una tradizione familiare e dove meglio posso esprimere il mio know how. Nel creare e poi realizzare un cappotto ritrovo molte caratteristiche dell’architettura. Prima c’è l’idea poi c’è la ricerca del materiale adatto a trasformare l’idea in forma e poi ci sono le competenze tecniche che adattano la forma al corpo. Il processo creativo e tecnico è molto simile alla progettazione di un edificio. La creatività non è l’unico elemento che confluisce in un progetto di moda, specie maschile. C’è bisogno di conoscenza dei materiali e di competenze tecniche del prodotto e soprattutto di equilibrio, mai superare il limite che esiste tra innovazione e portabilità, limite che molto spesso oggi viene travalicato .
Ma tornando al mio marchio distintivo sono i cappotti ed i materiali quali le lane pregiate e questa stagione anche stampate. Il processo di stampa su tessuti pregiati quali lane e cachemire è difficilissimo a volte impossibile ma questa stagione sono riuscito ad ottenere un risultato esaltante e ne vado fiero.
Che messaggio e che possibilità dà oggi il mondo del moda ai giovani stilisti? C’è spazio in Italia per giovani stilisti talentuosi?
Oggi c’è molto spazio per giovani talentuosi ma ho l’impressione che questo spazio sia aperto più dalla comunicazione che dalla reale distribuzione. E’ difficilissimo che questi talenti abbiano delle reali vetrine nei negozi hit poiché le politiche dei grandi brand impongono ai buyer dei budget di acquisto così elevati che lasciano poi poco spazio all’introduzione di nuovi brand ed alla ricerca di marchi interessanti da proporre. L’inseguimento al logo riconoscibile a tutti i costi, impedisce poi ai buyer di destinare un budget per nuovi marchi . Questo problema riguarda anche me che ho un brand emergente, ho alle spalle anni di esperienza, ho creato un prodotto che piace molto ma che trova pochissimo spazio all’interno di negozi top che sono costretti a sovracaricarsi di prodotti dai top brand. Per molti giovani stilisti la via di uscita è essere notati e reclutati dai brand.
Il rapporto con la sua città Natale.
Difficile descrivere il mio rapporto con la mia città Natale. Come ho detto prima ho scelto di andar via giovanissimo ma circostanze della vita e scelte inevitabili che sono legate soprattutto alla famiglia mi hanno riportato indietro. Al mio ritorno mi sono completamente calato nella realtà aziendale della mia famiglia e questi impegni mi portavano a viaggiare molto in diversi paesi europei ed extra europei. I continui viaggi di lavoro se pur stimolanti a tutti i livelli non hanno certo però contribuito a saldare un legame che avevo spezzato con il mio luogo di origine. Ero troppo preso da una nuova esperienza lavorativa che mi impediva di connettermi con la mia città ed anzi più viaggiavo e più questo legame si dissolveva confermandomi che il mio posto non era quello. Nel mio cuore è rimasta Roma la città a cui sento di appartenere perché è li che sono cresciuto. Dopo l’esperienza cinese sentivo che avevo bisogno di radici ed ho scelto di tornare nella mia città natale ma tutt’ora queste radici non le ho ancora trovate ed è strano alla mia età non sentirle ancora. Sicuramente vivo in una bellissima terra ed ho la possibilità di vivere a stretto contatto con elementi naturali quale il mare che posso guardare ogni mattina dal mio appartamento ma al tempo stesso mi mancano molte altre cose che città più grandi ed internazionali ti possono offrire quali musei, mostre, teatri ed eventi. Ma per fortuna posso viaggiare .
Il lavoro al tempo del “coronavirus” come stanno rispondendo gli artisti a questa emergenza virale ed umanitaria che ha colpito il mondo e come pensate di rientrare in campo viste le problematiche che sta affrontando il mondo della moda in generale.
Il coronavirus, per esempio ha bloccato il mio progetto per più di un anno e quando tutto sembrava passato c’è stata una generale euforia che causato una esplosione di nuovi progetti ed idee. Ma purtroppo questo non è durato a lungo poiché la minaccia di nuove chiusure è riapparsa ed hanno cominciato a farsi sentire le conseguenze dei lunghi periodi di chiusura. Se a questo ci aggiungiamo i nuovi scenari politici che hanno scosso i già fragili equilibri dell’economia e stanno cambiando radicalmente gli scenari sociali e politici mondiali, direi che chi oggi come me ha puntato con entusiasmo su nuovi progetti ha davvero un grande coraggio. Spero che la passione per il nostro lavoro ripaghi questo coraggio ma percepisco una nota di incertezza e timore da parte di tutti. La moda sta reagendo con forza e grande entusiasmo, proponendo nuove idee e concetti veicolati da grandi investimenti nella comunicazione e marketing ma il grande dubbio è: il consumatore si lascerà affascinare da questo e si sentirà invogliato all’acquisto con lo stesso entusiasmo che noi stilisti stiamo riponendo nel nostro lavoro?
I suoi prossimi impegni.
I miei impegni piu’ vicini sono lavorare ad una nuova collezione anche se non mi piace parlare di stagionalità, di temporaneità e di collezione. Il mio progetto vuole distaccarsi dalle logiche frenetiche e consumistiche delle collezioni stagionali che cambiano continuamente ed ha dei tempi di realizzazione e consumo velocissimi. Io vorrei seguire l’onda della mia ispirazione proponendo capi atemporali ai quali si aggiungono di volta in volta nuove creazioni suggerite da una emozione. Sono per un concetto di moda slow e ciò che si acquista e si indossa deve durare per sempre. Comunque il mio prossimo impegno più grande è quello di trovare uno spazio che mi rappresenti, possibilmente a Milano , in cui io possa accogliere il cliente spiegargli il valore di ciò che acquista e ,seguendo le sue esigenze e desideri ,modificare il capo affinchè possa sentirsi unico .Con questo non parlo solo di tailor made ma custom made . Ossia, partendo da ciò creo, adattarlo al gusto di chi lo acquista. Mi immagino un salotto in cui conversare con chi viene a trovarmi e offrigli delle piccole esperienze creative in cui la mia esperienza e gusto si confronta con i desideri del visitatore. Mi piacerebbe inoltre ospitare artisti emergenti nel campo della pittura, grafica, ceramica e design trovare con loro formule di collaborazione. Vorrei uno spazio in cui oltre la moda si respiri l’arte artigiana e chi acquista sia consapevole che il proprio capo è fatto da mani esperte ed uniche. Insomma non ho smesso alla mia età di sognare ed avere progetti poiché la passione per questo lavoro travalica i limiti temporali ed anagrafici. Ancora oggi a 60 anni non ho smesso di rimettermi in gioco come ho sempre fatto nella mia vita e rassegnarmi a pensare che ormai ciò che ho fatto mi basta .