Gaetano, ci racconti di Lei, chi è Gaetano Migliaccio come persona?Iniziamo col botto! Gaetano è una persona molto solitaria, ma è anche una persona che dedica la propria vita agli altri. So che questa risposta possa sembrare un po’ un paradosso, chredo che ascoltare le persone sia di fondamentale importanza, e io amo farlo. Che sia un amico di vecchia data o un semplice conoscente, interessandoci realmente del prossimo possiamo fare tanto sia per l’altro, sia per noi stessi. Direi che il mio obiettivo principale nella vita è proprio quello di aiutare le persone. E basta poco per farlo, guardi qualcuno negli occhi e gli chiedi, realmente interessato, come stai?Come nasce la sua passione per la recitazione?Non posso non sorridere. Tutto è iniziato per obbligo. Mi spiego meglio, ero al terzo anno di liceo e, visto che il mio comportamento non era proprio tranquillo in classe, la mia professoressa di italiano mi obbligò a partecipare al laboratorio di teatro che sarebbe iniziato a breve. Da lì è iniziata una storia d’amore che continua ancora. La recitazione mi ha aiutato molto, mi ha aiutato a crescere, a emozionarmi, ad ascoltare e a lavorare su ciò che mi porto dentro.E non smetterò mai di ringraziare la professoressa Patrizia D’Alesio per quell’obbligo al quale mi piegò. Quali sono gli artisti dai quali si sente maggiormente influenzato o da cui trae ispirazione?Sono sicuramente molto attratto da Raffaele Viviani e Mimmo Borrelli. Però, come diceva Eduardo, Napule è nu paese curioso, è nu teatro antico, sempre apierto. Di conseguenza scegliere è molto difficile. Napoli e i napoletani sono fonte d’ispirazione continua.L’unica certezza è che mi ispiro a Tom Hardy, attore stratosferico per me. Come attore quali sono i personaggi che ha portato in scena e ha sentito più vicino alla sua sensibilità.Direi che sono due, anche se uno l’ho portato in scena e l’altro non proprio. Il primo è Guido Fracassi personaggio tratto da Le regole del giuoco del tennis di Mario Gelardi, andato in scena aNovembre al Nuovo Teatro Sanità, accompagnato da un grande amico e attore Enrico Pacini, e con la regia efficace di Michele Brasilio. L’altro personaggio è Tonino ‘u barbone tratto da ‘A sciaveca di Mimmo Borrelli, col quale purtroppo non ho avuto il piacere di andare in scena, ma ho goduto della fortuna di lavorarci durante un laboratorio. Da anni collabora col Nuovo Teatro Sanità, come è iniziato tutto e come continua nel tempo?Ad agosto 2016 Carlo Geltrude mi chiamava e mi diceva che al Nuovo Teatro Sanità partiva un progetto rivolto ai giovani, si trattava di Noi non siamo barbari con la regia di Mario Gelardi e che gli avrebbe fatto piacere se ne avessi preso parte. All’epoca io e Carlo frequentavamo la scuola del Teatro Stabile di Napoli, per me fu un grande piacere avere questa chiamata e accettai la proposta. Di lì in poi non sono andato più via, mi sono innamorato di questo posto e delle persone che lo vivono. Non smetterò mai di ringraziare Carlo per quella telefonata e per la fiducia che continua a darmi. Un grazie altrettanto grande va ovviamente a Mario che negli anni mi ha supportato come quasi nessuno ha mai fatto, è stato ed è per me un pedagogo. Nel 2019 ha interpretato un piccolo ruolo nella serie televisiva chiamata Mare fuori. Come ha vissuto il set?È stato un momento magico, la prima posa la girai nella notte del 2 luglio 2019, non ero mai stato su un set né tanto meno conoscevo il mio compagno di scena Matteo Paolillo che nella serie interpreta Eduardo. I primi ciak sono stati un po’ freddi, poi Carmine Elia, il regista, ci fa un piccolo discorso su ciò che voleva per quella scena e ci diede poi carta bianca. Così io e Matteo abbiamo iniziato a improvvisare tutto, si è creata una forte intesa che ha dato poi i suoi frutti durante la messa in onda. Preferisce il cinema o il teatro?Il teatro senza alcun dubbio. Le emozioni che si vivono in quel luogo magico non ha eguali per me. Che messaggio e che possibilità dà oggi il mondo dell’arte ai giovani artisti in un settore particolare e in perenne cambiamento come il teatro, cinema e la televisione ormai assorbite dalla rete? C’è spazio in Italia per giovani artisti talentuosi?Questa è una domanda molto tosta, conosco poche realtà che danno una concreta possibilità ai giovani e questo mi rammarica molto, da una città come Napoli ci si aspetta tanto, anche solo per il bagaglio artistico che si porta dietro questo posto. Ci sono molte menti geniali e attori bravissimi che non trovano porte aperte per avere la possibilità di esprimersi. Rispetto agli anni precedenti la situazione è sicuramente migliorata, ma non so effettivamente quanto basti. Mi aspettavo un sostegno maggiore da parte delle istituzioni, ma forse arriverà piano piano chi può dirlo.
Il rapporto con la sua città natale.Io sono nato e cresciuto a Ponticelli, un quartiere della periferia di Napoli. Con il quartiere vivo un sentimento di amore e odio costante. Amore, perché ovviamente tutti i miei ricordi d’infanzia sono legati al quel posto, odio, perché purtroppo è un quartiere difficile che non riesce a dare molte opportunità ai giovani che restano. E poi c’è Napoli che è praticamente la mia vita. Non riesco a starle lontano. Vivere a Napoli sicuramente non è facile, ma ciò che questa città mi regala ogni giorno mi tiene vivo.Il lavoro al tempo del “coronavirus” come stanno rispondendo gli artisti a questa emergenza virale e umanitaria che ha colpito l’Italia e il mondo e come pensate di rientrare in campo viste le problematiche che sta affrontando il mondo della cultura in generale?Ovviamente stanno rispondendo bene, hanno tanta voglia di fare, ma non è semplice. La situazione epidemiologica è tale da bloccare tutto. Proviamo a ritornare a pieni ritmi, a tornare a emozionarci col pubblico, ma ancora non pare possibile. Attualmente non c’è una situazione sicura, quindi purtroppo non ho una risposta concreta a questa domanda. I suoi prossimi impegni.A breve dovrei girare un ruolo in una serie per la Rai, ma non posso dire altro. Nel frattempo, a fine gennaio, sarò l’aiuto regia di Mario Gelardi per lo spettacolo Plastilina che ha in scena Teresa Saponangelo, Ivan Castiglione, Mariano Coletti, Vincenzo Antonucci, Giampiero De Concilio e Arianna Iodice. Con Compagnia Vulìe, invece, vorremo puntare a distribuire Le regole del giuoco del tennis e dunque girare di più. Nel frattempo sto lavorando insieme al regista Agostino Pannone a un testo scritto dalla drammaturga Marina Cioppa.