Elvira ci racconti di Lei, chi è Elvira Buonocore come persona?Se le cose che faccio un giorno riusciranno a definirmi, vorrà dire che avrò conquistato qualcosa di importante. Una specie di vetta intima e personale. Oggi mi definisce ancora la mia faccia, il mio corpo, la mia andatura, le mie preferenze, i miei sottotesti. La maniera che ho di allontanarmi dalle mie radici, controvoglia, con sguardo bellicoso e in tenuta antisommossa. E poi ancora il modo epico che ho di tornare a casa, come dopo una battaglia contro il male. Mi definisce questa maniera di stare al mondo, come se fosse un’impresa troppo oltre le mie possibilità. E il desiderio di toccare tutti quanti, dal mio unico punto fisso, con le parole. Propaggini, tentacoli fatti di frasi come ventose, reti in cui tutti si possano impigliare. Come nasce la sua passione per la recitazione?Ho sempre avuto un certo gusto per la messa in scena, perlomeno è quello che mi imputavano durante l’infanzia. Come un’attitudine all’eccesso, una specie di acuta estroversione nell’esprimere desideri, furori e antipatie, una tendenza che si poteva definire, ironicamente, drammatica, che però faceva i conti con una certa riservatezza contraria. C’è stata di sicuro, seppure non consapevole, una voglia di comunicare che non riusciva a modularsi e a farsi parola altrimenti che così. E il suo amore per la scrittura?La scrittura è sempre stata l’unica maniera. Prima ancora che per la possibilità di raccontare storie, proclamando a chiare lettere il mio universo sentimentale, prima delle infinite possibilità di narrazione, conflitto e denuncia, scrivere ha voluto dire assumere una posizione precisa. Scrivere, si sa, significa incidere. Nello specifico, scegliere di scrivere ha voluto dire intervenire sulla mia vita in senso molto profondo, chirurgico, ha voluto dire incidere sul mio futuro. Specialmente sul mio futuro. Quali sono gli artisti dai quali si sente maggiormente influenzato o da cui trae ispirazione?C’è stato un momento, in passato, in cui una certa letteratura ha esercitato una grande influenza su di me. Romanzi che hanno turbato la crescita di molti, come un rito di passaggio. Ecco, qualcosa di quel mondo letterario continua a sollecitarmi. Aver letto molto da piccola mi ha deformato la sensibilità, l’ha inclinata in una direzione precisa, quella che tuttora provo a prendere quando scrivo. Di sicuro le influenze che ricevo appartengono molto più a un mondo che potrebbe definirsi volgare, un universo fatto di frammenti sconosciuti, pezzi di una vita screanzata che si staccano dalle origini e vorticano pericolosamente nel mondo contemporaneo. Come attrice quali sono i personaggi che ha portato in scena ed ha sentito più vicino alla sua sensibilità.Mi interessa una certa femminilità granitica, ostinata, mi interessa il corpo delle donne nella sua dimensione politica o meglio, dimostrativa. I ruoli che riesco a concepire per me sono legati a questo immaginario. Se deve trattarsi di un femminile dichiarato, che sia un femminile che esprime vertigine e disorientamento. Che siano esseri volubili ma non nella maniera solita che si associa alle donne, ma dove per volubile si intende aperto alla possibilità di una trasformazione. Che siano personaggi che sanno suggerire un’alternativa. Lei si forma come autrice parallelamente a una intensa esperienza di recitazione e dal 2013 è parte della Compagnia Teatro Grimaldello, ci racconti...Teatro Grimaldello è stato un innamoramento. Mi ha permesso l’amore, sotto molti punti di vista. Il regista e fondatore della compagnia, Antonio Grimaldi, mi ha trascinato sul palco molto presto, spingendomi alla recitazione in un momento in cui da sola non avrei saputo espormi. Ha voluto le mie parole, le ha portate in scena. Mi ha insegnato molto, soprattutto l’ardore. Dopo l’incontro con il regista e autore Mario Gelardi, collabora con il Nuovo Teatro Sanità come nascono queste sinergie intellettuali.Il Dramma Lab è stata un’enorme occasione. Si tratta di un laboratorio biennale di drammaturgia diretto da Mario Gelardi e riconosciuto dal MiBAC come ente per la formazione di giovani drammaturghi. Molto presto e poi durante tutti i mesi di lezione ho sentito che, oltre ad imparare nuovi modi di sviluppare la scrittura per la scena, mi si stavano aprendo occasioni, opportunità di crescita. L’incontro con il Sanità è stato a tutti gli effetti una spinta imprescindibile, una dichiarazione di fiducia che si è costantemente rinnovata. È un luogo, il Sanità, che sa riconoscere le attitudini, coltivare le necessità e gestire le inesperienze di chi vi arriva giovane e acerbo. Mario è una grande guida. Lei è autrice di testi originali tra cui Il fiore che ti mando l’ho baciato, premio della stampa Festival Voci Dell’Anima. Come nasce un buon testo teatrale?Non credo esista una prassi unica per il buon testo. Non saprei dire quali mosse compiere, quali i passi falsi da evitare. È certo che un testo teatrale è un gesto condiviso: intendo dire che l’impulso che porta alla pagina ha sì molto a che vedere col singolo, ma il destino di una scrittura dipende dalla volontà di molti. È questa unione di intenti che trovo imprescindibile.Nel 2019 ha vinto il Premio Dante Cappelletti con La Vacca, vincitore poi del premio “Per fare il teatro che ho sognato” e portato in scena con successo al Nuovo Teatro Sanità. In questo testo di una bellezza intensa che rispecchia l’anima del malessere giovanili ci sono molti riferimenti ad autori di spessore. Ama la contaminazione?Decisamente. In particolare quella linguistica. La trovo una grande possibilità espressiva. La lingua è sempre soggetta a ibridazione, è interrogata e continuamente esposta. È questa esposizione che mi interessa perché vi riconosco un valore prima di tutto evocativo: attraverso l’intrico del dialetto e di quella lingua italiana che a nostro modo assecondiamo tra decine di influenze, secondo me è possibile rappresentare mondi atavici e contemporanei insieme.Al Piccolo Bellini di Napoli ha dato ancora una volta prova di grande talento nel doppio spettacolo con “La fidanzata” e “Pandemico Vaudeville” dove appare sia nel ruolo di autrice che nel ruolo di attrice. Preferisce la scrittura o la recitazione?Vorrei imparare a considerarle come un tutt’uno imprescindibile. Del resto fanno parte dello stesso bisogno iniziale, provengono dalla stessa impellenza che si esprimerebbe forse soltanto a parole, ma che ha conosciuto anche un’altra strada possibile, quella della rappresentazione.Che messaggio e che possibilità dà oggi il mondo dell’arte ai giovani artisti in un settore particolare e in perenne cambiamento come il teatro, cinema e la televisione ormai assorbite dalla rete? C’è spazio in Italia per giovani artisti talentuosi?Spero vivamente di sì. Spero soprattutto che ci si possa concedere una dose di tempo, una possibilità concreta, misurabile in ore, in giornate di lavoro. Spero in un respiro più ampio, più largo, spero che si possa sospendere il giudizio prima di stabilire a chiare lettere se possiamo o meno funzionare. Se possiamo o meno continuare. Se c’è bisogno oppure no.
Il rapporto con la sua città Natale.Abito in un paese di provincia. È periferia nel suo etimo più vero, è il bordo di qualcos’altro. È un luogo da cui bisogna sporgersi per arrivare a qualcosa. Da qui è implicito lo sforzo, naturale la difficoltà della presa. Da qui si avverte la marginalità e poi una sensazione di scompenso che qualcuno ha chiamato spaesamento.Il lavoro al tempo del “coronavirus” come stanno rispondendo gli artisti a questa emergenza virale ed umanitaria che ha colpito l’Italia e il mondo e come pensate di rientrare in campo viste le problematiche che sta affrontando il mondo della cultura in generale.È un garbuglio di nozioni e impedimenti, di irrazionali prese di posizioni e decisioni avventate. È un cieco imbroglio di doveri e diritti poco chiari. Per lo meno è così per me. Non saprei dirlo in altro modo.I suoi prossimi impegni.Scriverò molto nei prossimi mesi. Non soltanto dall’Italia!