Fabio ci racconti di lei, chi è Fabio Crestale?
Sono danzatore e ora anche coreografo e direttore artistico della compagnia “IFunamboli”. Al tempo stesso sono anche un insegnante, e tengo lezioni in varie scuole e accademie di Francia, Italia, ... Sono una persona che si mette in discussione quotidianamente e che svolge il proprio lavoro guidato da una forte passione che, attraverso la produzione coreografica e l'insegnamento, ha la responsabilità di trasmettere. Come è nata la sua passione per la danza e nello specifico, a chi è più grato per la sua passione artistica?
Ho intrapreso il mio percorso artistico-formativo un po' avanti con gli anni cominciando presso la scuola di danza “Forza E Costanza” di Brescia, diretta da Nadia Bussien, già prima ballerina del teatro di Manheim. La mia grande passione per la danza mi è stata in buona parte trasmessa da lei, grazie ai suoi insegnamenti e consigli. In seguito ho continuato a seguire lezioni in tutto il mondo, dal Balletto di Toscana fino all'Alvin Ailey di New York, infine mi sono stabilito definitivamente a Parigi.
Da ballerino a coreografo come avviene questo passaggio ?Per me il passaggio da ballerino a coreografo è nato quasi un po' per scherzo. Mi sono trasferito definitivamente a Parigi nel 2005, lavorando per vari teatri e compagnie. Con il passare del tempo però sentivo sempre più il desiderio di coreografare qualcosa di particolare e così, nel 2011, assieme ad un mio collega, solista di Montecarlo, ho dato vita alla creazione “Al muro”. Dal quel momento ho capito quanto mi piacesse coreografare, oltre che danzare, e ho intrapreso questo nuovo percorso, che successivamente ha portato all'istituzione della compagnia “IFunamboli”. Da quali danzatori e coreografi è stato maggiormente influenzato o ispirato?
I coreografi da cui ho tratto maggiore ispirazione sono Mats Ek, Jiri Kylian e William Forsythe, e Hofesh Shechter, Emanuel Gat, Wim Vandekeybus e Anne Teresa De Keersmaker per quanto riguarda l'evoluzione più attuale della danza contemporanea. Le insegnanti che hanno avuto una grande influenza sul mio lavoro sono invece Nadia Bussien, già precedentemente nominata, e Valentina Benedetti, insegnante e coreografa della compagnia “Doppio Movimento”, che mi ha regalato una nuova consapevolezza nel modo di concepire la danza e, di conseguenza, la coreografia. Ovviamente nel corso degli anni ho incontrato anche molti altri artisti che mi hanno lasciato qualcosa appartenente alla loro arte. Cambierebbe qualcosa nel mondo della danza in cui si è formato?
No, non cambierei nulla nell'educazione che ho ricevuto all'epoca però sono assolutamente cosciente che la danza è cambiata molto negli ultimi anni, quindi anche i vari metodi d'insegnamento e di trasmissione. Soprattutto con la venuta dei cellulari e con un generale progresso tecnologico, noto come sia aumentato il cinismo, l'indifferenza rispetto alla conformazione artistica della danza. Ne vedo un appiattimento sempre più evidente nei contenuti e nella percezione, un qualcosa quindi molto più vincolato ad uno schermo che all'esperienza reale e fisica. Allo stesso tempo però riconosco anche i valori positivi che ha portato, come ad esempio un'accessibilità maggiore per tutti e un nuovo punto di vista per il metodo di insegnamento. In ogni caso ritengo che ciò che è assolutamente fondamentale sia che noi coreografi ed insegnanti guidiamo al meglio un artista lungo il suo percorso. Quali sono gli spettacoli a cui si senti più legato?
Sono sicuramente molto legato a quella che è in assoluto la mia prima composizione coreografica: “Al muro”, che debuttò nel 2011 e che fu frutto dei miei primi anni vissuti a Parigi. Questo lavoro è un passo a due in cui si tratta delle difficoltà vissute, degli incontri, delle sensazioni che possono scaturire dalla conoscenza di nuove persone. Un'altra coreografia a cui tengo particolarmente è “Opposé”, nata da una poesia di Prévert, che racconta la relazione tra due persone, due anime, le quali, nel labirinto della memoria, si scontrano e a tratti si incontrano in un impossibile tentativo di dialogo e di unione. A volte solo nel silenzio di due sguardi che si incontrano si trova la pace.
In Italia c'è posto per giovani ballerini talentuosi e, se dovessi dare un consiglio ad un aspirante ballerino, cosa le direbbe?
Ad un aspirante ballerino consiglierei, per prima cosa, di perseguire nello studio con costanza, poiché fondamentale per poter intraprendere questa carriera, e soprattutto di mantenere sempre un atteggiamento umile e che sia al contempo determinato, infatti solo così potrà fare la differenza. Il rapporto con la sua città natale.
Sento spesso nostalgia della mia città natale, Desenzano del Garda, ed in generale dell'Italia, dove ci sono la mia famiglia e molti legami affettivi. Fortunatamente ho la possibilità di ritornarci spesso per l'insegnamento o la messa in scena di alcune mie produzioni.
Il lavoro ai tempi del "coronavirus" come stanno rispondendo gli artisti a questa emergenza virale e umanitaria che ha colpito il mondo ?Il periodo della pandemia è stato certamente difficile, e ciascuno di noi è stato posto davanti alle proprie responsabilità. Inizialmente in Francia ho potuto continuare a creare in sala però è stato comunque molto demotivante, in quanto coreografo, non avere alcuna certezza di quando sarebbe stato possibile tornare nuovamente in teatro. In ogni caso ho cercato di mantenere alta la motivazione dei danzatori, nella prospettiva che presto avrebbero potuto di nuovo esibirsi davanti ad un pubblico in carne ed ossa. Penso che questo sia successo alla maggior parte degli artisti in tempo di Covid. Inoltre, durante le fasi di lockdown, si è creato in gran parte attraverso l'utilizzo dei social. A me però non è piaciuta granché questa nuova forma di produrre arte. Un artista che si esibisce ha bisogno di un pubblico, dell'applauso, cosa di cui sente la mancanza davanti ad uno schermo piatto, dove tutto diventa senza anima.
I suoi impegni futuri?
Ora sono occupato con la preparazione di due spettacoli imminenti, infatti il 24 Febbraio andrà in scena “Petites Pièces”, presso il Teatro Montdory a Barentin (Normandia), con danzatori e musicisti dell'Opera national de Paris, e il 4 Marzo “De Homine” al Teatro Impavidi di Sarzana (Liguria). “Petites Pièces” è una mostra antologica delle creazioni della Compagnia IFunamboli, un viaggio coreografico attraverso piccole storie. Danza classica e contemporanea sono mescolate con finezza, poesia e umorismo e nell'apparente contrasto i due stili si fondono senza mai diventare conflittuali o caricaturali. I ballerini sono affiancati da alcuni musicisti, che si prestano alla rappresentazione diventando parte attiva della messa in scena. Nulla è lasciato al caso, ogni accessorio di scena ha una doppia o tripla funzione. Il pianoforte si trasforma in una sbarra da danza e l'archetto dei violinisti in una spada o in una bacchetta magica. Ogni spettatore può interpretare, attraverso la propria sensibilità, ogni quadro scenico, dando libero sfogo alla fantasia. Grazie a ciò lo spettacolo è fruibile ad un pubblico molto ampio. “De Homine” è uno spettacolo che tratta di bullismo, omofobia e della discriminazione che può manifestarsi in tutti gli ambiti della vita di un individuo. Le norme ed i valori dominanti della società stabiliscono una gerarchia tra le persone e causano fratture in cui la violenza può agire impunemente. Attraverso la testimonianza di un singolo, la cui diversità e debolezza percepite lo rendono facile vittima, l'opera mostra come gli abusi ripetuti possono distruggere progressivamente l'uomo e la sua integrità fisica. La seconda metà della coreografia è caratterizzata dall'uso di tappeti da parte dei danzatori - metafora delle svariate possibilità dell'essere umano e dell'involucro rassicurante - all'interno dei quali ognuno esplora il proprio io, e, nel momento in cui gli spazi si intrecciano, l'individuo più debole si ritrova solo ed in condizione di pericolo. Dovrà quindi affrontare un inevitabile scontro per resistere alla sottomissione e salvaguardare la propria dignità.Prossimamente ci sarà il debutto di una mia nuova creazione, “Outdoor # Our Revolution #”, dove è posto un focus sui temi della diversità e della (non) inclusione, declinati nei più diversi ambiti. La diversità verrà rappresentata dalla figura mitologica dell'Unicorno, animale sacro, intoccabile, i danzatori indosseranno una maschera con un duplice significato: l'esaltazione della natura unica e leggendaria dell'Animale-Uomo e contemporaneamente un rifugio dietro cui celare queste stesse prerogative. In un ambiente sociale dove la difficoltà di comunicare sta allontanando sempre di più le persone, dove la parola è sostituita da messaggi digitati dal mondo virtuale, dove le emozioni non trovano la via per manifestarsi, l'Uomo-Unicorno instaura con il pubblico una comunicazione fatta di gestualità chiare e dirette. La rappresentazione, a cui prendono parte sei danzatori, segue dei ritmi alternati, presentando momenti coreografici d'ensamble o con meno ballerini, e si conclude rivolgendo al pubblico domande e affermazioni provocatorie sotto forma di cartelli.