Gianluca ci racconti di Lei, chi è Gianluca d’Agostino come persona?Sbaaam! Domanda da un milione!Nella mia vita hanno grande importanza amore, amicizia e la famiglia. Gianluca è un uomo che tenta di non dimenticare mai il bambino che è stato. Sono uno dalle mille contraddizioni, ma mantengo la mia coerenza. Sono un iperattivo a fasi alterne. Ci sono periodi in cui mi riescono bene trentadue cose insieme e altri in cui non ne azzecco una e non ho voglia di farne mezza. Sono un animale solitario, ma amo stare in compagnia. Sono molto responsabile, ma totalmente incosciente, mi apro difficilmente, ma se entri nel mio mondo non ne esci più. Sono un pazzo con la testa sulle spalle. E poi potrei continuare all’infinito, ma a chi interessa… Come nasce la sua passione per la recitazione? Per caso e per gioco. Ero un adolescente abbastanza irrequieto e che frequentava molto la strada e a volte anche cattive compagnie; dando calci ad un pallone sfogavo l’adrenalina e la carica inespressa e forse anche un po’ di rabbia. Un giorno mi faccio male e non posso più giocare per mesi. Mi iscrivo ad un corso di teatro. Mi innamoro subito, così, senza un motivo, perché mi piace, ma non certo penso di voler fare l’attore per altri tre anni almeno. Facendo quel corso di teatro, sento di avere però una valvola di sfogo positiva, che non si esaurisce come per il calcio una volta finita la partita, ma che mi accompagna anche mentre faccio altro. E così, mi appassiono alla lettura, coltivo maggiormente la mia passione per la scrittura, di colpo divento addirittura bravo a scuola e soprattutto, migliorano i miei rapporti con gli altri, ma di tutte queste cose, me ne rendo conto adesso, allora volevo solo fare quelle due ore di lezione di teatro al martedì e al giovedì, perché mi faceva stare bene e perché lasciavo ogni pensiero fuori dalla porta. Il teatro è innanzitutto un percorso di conoscenza di sé stessi. Mi capivo e mi accettavo di più. Diciamo che il palco è stato davvero il primo luogo in cui mi sono sentito a mio agio con i miei difetti. La mia passione mi ha dato un obiettivo e mi ha salvato da un’inedia che forse mi avrebbe portato verso rotte pericolose. Poi, ha preso nella mia vita, pian piano sempre più spazio e tempo, ed è stato allora che mi sono detto, forse è il caso che diventi anche il mio lavoro, per cui mi sono messo a studiare in maniera seria, ma anche quello è successo in maniera piuttosto naturale. Tutte le volte in cui ho forzato la mano ho raccolto solo fallimenti. Ma i fallimenti sono importanti, spero di averne ancora. Quali sono gli artisti dai quali si sente maggiormente influenzato o da cui trae ispirazione?Sicuramente hanno avuto molto peso su di me i maestri che ho incontrato. Robert Wilson è stato uno di questi. Un artista a trecentosessanta gradi. Uno dei padri del teatro contemporaneo, eppure, il teatro è solo uno dei suoi campi di espressione artistica. Mi ha aperto la mente. Quando sono andato da lui a Long Island, non ci ho capito nulla, per le prime due settimane ci ha fatto piantare una cosa come 500 piantine di mirtilli e 70 alberi su una distesa di terra enorme, seguendo linee geometriche e disegni sul terreno ben precisi. Ero distrutto, mi dicevo ma perché? E negli occhi dei miei colleghi e compagni alla prima esperienza con lui, vedevo la stessa espressione. Chi l’aveva già fatto aveva uno sguardo diverso. Poi abbiamo iniziato a lavorare sui vari progetti creativi ed ho capito. Quel giardino era un’opera d’arte e l’avevamo fatta noi, insieme. È stato un po’ come “Metti la cera, togli la cera”. Un altro grande maestro è stato per me Riccardo Bellandi, che ahimè si è spento alcuni anni fa. Con lui all’epoca lavorammo sulla scrittura scenica dell’attore, sull’interpretazione e sui rapporti tra attore e attore e di conseguenza tra i personaggi che quegli attori fanno interagire. Lavorare con Riccardo era un viaggio. Lo ricordo con affetto e infinita stima. Poi mi hanno influenzato molti degli attori con i quali ho avuto l’onore di lavorare in questi anni. La recitazione è un mestiere che nessuno ti insegna, ma che puoi imparare solo dagli altri. Come si dice, è un mestiere che si ruba. Da autore e regista, traggo ispirazione da tutti quelli che fanno esperienze di compagnia e nutro particolare interesse per quelli che si occupano di drammaturgia contemporanea. Sono tutti eroi, anche perché l’Italia è un paese che non da granché spazio alla nuova drammaturgia. Provo profonda stima e ammirazione per tutti coloro che portano in scena i propri testi e non a caso è quello che provo a fare anche io. Come attore quali sono i personaggi che ha portato in scena ed ha sentito più vicino alla sua sensibilità. Mah… tutti o la stragrande maggioranza, nel senso che tendo sempre ad avvicinarmi ad ogni personaggio che interpreto e/o ad avvicinare il personaggio a me. Già l’espressione “personaggio” è una convenzione, ma non è viva come espressione esistenziale, rispetto alla vita che un attore mette sulla scena. Siamo sempre noi, anche quando facciamo qualcosa di completamente lontano da noi stessi. Li ho amati tutti. In ognuno di loro c’è stato un punto di incontro e una scoperta. Sono un grande estimatore di Shakespeare e di sue opere ne ho fatte una decina. Negli ultimi anni, posso dirti che ho scoperto di essere capace nel comico, cosa che nemmeno io sapevo e provo immenso godimento nell’affrontare il genere, anche se continuo a credere che la divisione in generi sia una limitazione e nella vita come nell’arte, non bisogna mai porsi limiti. Un ruolo però che mi ha dato tanto è stato quello del Governatore del carcere, in un adattamento teatrale da “Le menzogne della notte” di Gesualdo Bufalino. Nel nostro adattamento quest’uomo, per carpire un’informazione circa un’indagine che sta portando avanti, si traveste da anziana e passa l’ultima notte, prima che queste vengano giustiziate, con alcune detenute condannate a morte, tutte complici di un unico reato, di cui egli stesso sta cercando il mandante. Mi è piaciuto particolarmente farlo perché amo quei ruoli doppi, che inscenano travestimenti o che cambiano radicalmente lungo il corso della narrazione. Mi piacerebbe un giorno fare un personaggio alla Eduard Norton in “Schegge di paura”. Un’ altra esperienza che mi ha dato tanto è stato lavorare sul set di Gomorra 5. È una serie internazionale e te ne accorgi da subito. Ho capito un paio di cose che sono sicuro mi serviranno in futuro. Lei oltre ad attore è anche autore e regista, come ha conciliato questi ruoli.Iniziamo col dire che il mio essere regista è contingentato al mio essere autore. Nel senso che mettendo in scena i miei testi, ne curo anche la regia. Ma è solo in queste occasioni, almeno per il momento, che mi dedico anche alla regia. Non ho mai fatto una regia per un testo che non fosse mio o di un autore noto. Magari accadrà in futuro, chi può dirlo. In generale scrivo dei copioni, che devono essere materiale plasmabile in sede di prova e mai fisso. Cerco di creare occasioni di interazione tra attori. Cerco di separare, per quel che riesco, l’essere autore, dall’essere regista e attore. Quando si va in prova, l’autore deve uscire di scena e non deve più interferire, a meno che non ci sia un problema puramente testuale che non si possa risolvere se non intervenendo sul testo, ma anche in quel caso è il regista che se ne dovrebbe occupare. In sostanza non posso consentirmi di essere geloso di quello che scrivo. Il regista cerca di portare avanti il lavoro come se non fosse la stessa persone che ha scritto il testo e l’attore interpreta come se una seconda persona avesse scritto e una terza persona gli abbia dato delle indicazioni di regia. Infatti, presto mi ricovereranno in una clinica psichiatrica. Scherzi a parte è un lavoraccio ed è molto stimolante, ma anche più semplice e meno arzigogolato di quanto possa sembrare dalla mia spiegazione. L’unico che può concedersi il lusso di pensare per due è l’autore: quando scrivo infatti, così come immagino gli attori per quei determinati ruoli, immagino anche me attore, interpretare uno di essi. In quel momento sto scrivendo per me stesso, ecco. Lei nel 2020 ha ricevuto il Premio Troisi al miglior testo teatrale con STORIA DI UNA BUGIA, attualmente in produzione. Ci raccontiSi. Ho messo su la compagnia che spero di portare con me fino al debutto che ho previsto per l’estate del 2022. Al momento abbiamo presentato un primo studio di 20 minuti circa al Premio Dante Cappelletti e a tappe stiamo continuando a lavorare sulla messa in scena, ma voglio prendermi tutto il tempo. Non ho fretta. Preferisce il cinema o il teatro?Non si possono paragonare. Sono due espressioni e due linguaggi completamente diversi. Dal punto di vista di chi lo fa, il teatro è un’emozione più immediata. Il rapporto dal vivo con il pubblico è un legame speciale e che a parole non è possibile spiegare. È una ripetizione di qualcosa di predefinito, ma ogni volta nuovo e diverso perché siamo diversi noi, non è lo stesso il pubblico rispetto a quello della sera prima e gli stessi compagni di scena non sono uguali al giorno prima e a quello seguente. È un’esperienza unica e ogni volta irripetibile, nonostante lo spettacolo lo si replichi più volte. Si cammina su un filo come i funamboli. Al cinema il tuo pubblico è composto da tutti i presenti sul set, operatori dei vari ambiti di lavoro del film che stai girando, ma il tuo vero pubblico è la camera, è per lei che stai recitando. E quell’immagine che sarà fissata, resterà impressa in un video per l’eternità, o finché esisterà l’umanità su questa terra almeno. Un attore lo sente quando quel determinato ciack, tra i vari già fatti è quello giusto ed è un’emozione davvero indelebile, come indelebile sono le immagini sulla pellicola. La sensazione di rivedersi poi, ti prende allo stomaco, che tu stesso apprezzi o meno la tua performance. In entrambi i casi, comunque, ci sono vari e distinti momenti di noia mortale con cui un attore deve imparare a convivere. Dal punto di vista di chi lo fruisce, vado molto più a teatro che al cinema. Da spettatore preferisco il teatro, anche se si fanno molti più bei film che bei spettacoli. Che messaggio e che possibilità dà oggi il mondo dell’arte ai giovani artisti in un settore particolare e in perenne cambiamento come il teatro, cinema e la televisione ormai assorbite dalla rete? C’è spazio in Italia per giovani artisti talentuosi? Volendo usare una metafora pugilistica, direi che i giovani stanno mettendo i meno giovani alle corde. Siamo in una fase di transizione ed in un’epoca di grandi cambiamenti e i giovani saranno il motore di questo cambiamento, l’ultimo scatto, quello decisivo, spetta proprio ai giovanissimi di oggi. Il mondo si sta rendendo finalmente conto che i giovani sono una risorsa e i giovani vengono su già stanchi ed arrabbiati guardando in che condizioni i loro genitori e i loro nonni consegnano il mondo nelle loro mani. Quelli che sono stati giovani prima di noi, iniziano a sentirsi giustamente un tantino in colpa e tentano di riparare dando maggiori possibilità ai giovani in campo professionale su tutti i livelli: nell’arte, nella cultura e in tutti gli ambiti, o almeno me lo auguro. La rete e i nuovi mezzi di comunicazione hanno un grande ruolo in questo, proprio perché chi nasce oggi, conosce questo mondo e sa utilizzare i suoi sistemi meglio di chi lo ha creato. Per quanto riguarda il teatro, dovrebbe aprire la strada ai giovani maggiormente e attraverso più canali. Pare che per un giovane artista o una giovane compagnia, l’unica possibilità di passare dall’anonimato all’essere considerato sia quello di vincere un premio, che sia di scrittura o di messa in scena o di qualsiasi tipo, quando ci sono molti talenti che nemmeno vi partecipano e hanno più difficoltà ad emergere. Non dico che sia sbagliato a prescindere il meccanismo, ma credo generi meno spazio rispetto alla quantità di talento che meriterebbe attenzione e mi auguro che la cosa possa cambiare presto. Qualcosa in più, potrebbe e dovrebbe essere fatta. Per quanto riguarda il cinema e la televisione invece credo che le possibilità si stiano allargando, soprattutto in una città come Napoli che è ormai, oltre che un teatro a cielo aperto, un set internazionale. C’è molto più lavoro di qualche anno fa e ce ne sarà sempre di più nei prossimi anni. Il mercato italiano si sta sempre di più aprendo all’estero ed è una cosa obbligata perché con le nuove piattaforme di divulgazione audiovisiva, ogni paese del mondo vuole e deve trovare la sua espressione in questo mercato in continua crescita. Ovviamente più produzioni in corso, vuol dire più possibilità per artisti, giovani e meno giovani, talentuosi e meno talentuosi, poi dipenderà dalle scelte che volta per volta verranno fatte. Il rapporto con la sua città Natale.È un rapporto di amore e odio. Sono felicissimo quando devo andare via per lavoro o per piacere, ma poi non vedo l’ora di ritornare. Ho vissuto per lunghi periodi via da Napoli, ma alla fine la mia vita la sto costruendo qui. È una città bastarda, è ‘na zoccola; che ti seduce e ti abbandona, che ti accarezza e ti “mazzea”, che alimenta i tuoi sogni e poi li infrange, che ti ama e ti tradisce, ti delude e poi ti rincuora. Che ti lancia il salvagente solo quando stai per annegare. È impossibile non subirne il fascino e non venirne continuamente ispirati. È una grande palestra di vita, a Napoli le difficoltà sono decuplicate, anche una sciocchezza diventa un’impresa e un napoletano lo capisce bene quando se ne va. D’improvviso tutto pare più semplice, dalle cose di tutti i giorni alle cose fuori dall’ordinario. I napoletani sono amati e cercati in tutto il mondo, ma tra di noi potremmo e dovremmo credo, essere più solidali. A Napoli c’è tanta gente, troppa. È come il gioco della sedia e ad ogni giro vanno via due sedie ed entrano in gioco altre venti persone. Solo che non è un gioco, è la vita. Il lavoro al tempo del “coronavirus” come stanno rispondendo gli artisti a questa emergenza virale ed umanitaria che ha colpito l’Italia e il mondo e come pensate di rientrare in campo viste le problematiche che sta affrontando il mondo della cultura in generale.Si sta rispondendo come si può. Non ci siamo ancora ripresi e soprattutto psicologicamente e mi pare che le difficoltà oggettive siano ben lontane dal volerci abbandonare e lasciarci la possibilità di tornare a star sereni. Si è ripartiti per modo di dire; con poco coraggio e senza grossi rischi, ma è anche comprensibile se ci si pensa un poco in più. C’è stato qualcosa che è assomigliato all’inizio della fine del mondo. Tutto il mondo è stato in bilico e credimi, se avessi la soluzione a questo problema che ha costretto molti bravi artisti a cambiare lavoro e ha lasciato molte famiglie in seria difficoltà, ti giuro che non avrei atteso quest’intervista per tirarla fuori. Bisogna resistere e tenere duro. Dal baratro si può solo risalire e sono fiducioso che vivremo un’epoca d’oro, ma è ancora lontana la fine del tunnel. Quel che resiste oggi è ancora di più come ieri il gruppo e qui ritorniamo al discorso di qualche domanda fa. Fare compagnia, cercare un proprio linguaggio e sperimentare la propria forma espressiva in gruppi di lavoro, creare una propria realtà, risulta essere oggi a mio avviso la formula che da più soddisfazioni. Per quel che riguarda i temi e le modalità espressive, sono sicuro che lo si voglia o no, direttamente o indirettamente le opere artistiche saranno influenzate in ogni caso da ciò che è accaduto e sta ancora accadendo. I suoi prossimi impegni.Continuerò sicuramente il lavoro di compagnia su STORIA DI UNA BUGIA, ma sto scrivendo anche altro. Ha in cantiere un romanzo e sto ultimando una sceneggiatura per un film. Come attore ci sono novità interessanti sul versante cinematografico, ma al momento non posso dire più di questo.