Lorenzo ci racconti di Lei, chi è Lorenzo Scalzo come persona?Sono una persona fatta di contraddizioni. Sono timido ma allo stesso tempo sono in grado di creare legami, lavorativi e d’amicizia, con estrema facilità; ho molte insicurezze ma sono molto testardo. Ed è probabilmente questo dualismo della mia personalità che mi ha permesso di portare avanti la mia carriera, seppur ancora agli inizi, con costanza da ormai quattro anni, mantenendo sempre in vista l’obiettivo e cercando di raggiungerlo con tutte le mie forze senza però tralasciare l’importanza del procedere per gradi, sfruttando al massimo i mezzi a disposizione di volta in volta.Sono orgoglioso di me e delle mie capacità, ma sto imparando a conoscere i miei limiti e a come poterli superare, magari con l’aiuto dei miei fantastici collaboratori.Laureato al Dams di Bologna. Come nasce la sua passione per la regia?Nasce da piccolissimo, grazie a mio padre e alla sua passione per la fantascienza. Star Wars fu un fulmine a ciel sereno. Anche se un po’da sempre quello che sognavo di fare era raccontare storie che potessero affascinare altre persone, ed il cinema era il modo migliore di esprimermi. Da qui ovviamente la ricerca di narrazioni che potessero far emergere tematiche, nella maggior parte dei casi, universali (il viaggio, il rapporto padre figlio, la lotta ad un potere oppressivo) con un occhio di riguardo per l’elemento fantastico e fuori dall’ordinario. Quali sono gli artisti dai quali si sente maggiormente influenzato o da cui trae ispirazione?La risposta semplice potrebbe essere: “troppi”. Ma andando nello specifico (e credo valga lo stesso discorso un po’ per tutti) traggo ispirazione e, di conseguenza, vengo influenzato da quelle che sono le mie passioni (cinematografiche o meno) e dal periodo storico. Ad esempio, nel 2017 ho scoperto Sion Sono e grazie al suo “Why don’t you play in hell?” ho ritrovato le giuste motivazioni per non mollare la strada che avevo intrapreso e da quel momento sono diventato uno suo grande fan. Eppure non credo che, vedendo i miei lavori, si possa dire che sia per me una fonte d’ispirazione così presente.Sicuramente, almeno in questi ultimi tre/quattro anni, è palese come figure quali Akira Kurosawa, Eggers, Carpenter, Gareth Evans, Spielberg, Lucas e Dave Filoni abbiano avuto un’influenza molto marcata sul mio processo creativo. Ma ad essi andrebbe affiancato tutto un mondo di figure creative provenienti da altri media, primo tra tutti il mondo dei videogiochi. Mi vengono in mente, solo per citarne alcuni, Neil Druckmann, Hideo Kojima, Cory Barlog, Jenova Chen, Arnt Jensen e Tameem Antoniades.Come regista quali sono i personaggi che ha portato nei suoi corti ed ha sentito più vicino alla sua sensibilità.Probabilmente il personaggio dei miei lavori che sento più vicino è uno dei protagonisti del corto che, per ironia, meno apprezzo. Sto parlando del giovane samurai che sfida a duello il ronin in “Honor”.Il motivo è presto detto, il samurai è infatti una rappresentazione delle mie insicurezze di giovane regista. Con questa maschera volevo rappresentare la mia paura del confronto con i grandi della storia del cinema, quella sensazione di inadeguatezza celata con spavalderia e falsa sicurezza di sé. E questo essere uno specchio del me di qualche anno fa, estendibile tranquillamente a tutta l’opera, è il motivo per cui Honor è per me un progetto ormai superato e privo di mordente, ma in cui ho lasciato un pezzo di cuore. Lei oltre ad essere regista è anche sceneggiatore, come ha conciliato questi ruoli.Essendo primariamente un regista, nel mio caso il ruolo di sceneggiatore è più che altro funzionale alla regia. Questo perché sono più a mio agio a raccontare per immagini che per iscritto. Da qui la presenza quasi costante di co-sceneggiatori nelle mie produzioni, proprio perché voglio che le mie idee vengano sviluppate al meglio grazie al supporto di figure specializzate in una fase delicata come quella della scrittura, fondamenta di tutto un progetto. Con questo, ovviamente, non voglio dire di non essere in grado di sviluppare uno script, ma se posso ottenere di più collaborando con quelli che sono ormai compagni e compagne di viaggio estremamente talentuose, perché non farlo?Lei ha scritto e diretto tre cortometraggi, tra cui l’ultimo ha vinto un premio al festival CulturalClassic 2022 come miglior attore non protagonista.La vittoria al festival Cultural Classic è stato qualcosa di incredibile. Con la mia squadra, speravamo da tempo di riuscire ad ottenere una candidatura per la performance del giovane Matteo, un riconoscimento per il suo coraggio nel lanciarsi con tutti noi in questa avventura, senza esperienze pregresse. Ma di certo nessuno di noi poteva auspicare una vittoria come questa al primo tentativo. Per cui, guardando la live della serata di gala, la mia reazione all’annuncio del vincitore è stata contenuta e pacata: ho gridato di gioia allo schermo e ho subito chiamato tutti, dai collaboratori ai conoscenti per dare la stupenda notizia.Che messaggio e che possibilità dà oggi il mondo dell’arte ai giovani artisti in un settore particolare e in perenne cambiamento come il cinema ormai assorbite dalla rete? C’è spazio in Italia per giovani artisti talentuosi ?Io posso rispondere da neofita. Da persona che sta ancora muovendo i suoi primi passi in questo mondo (professionalmente parlando). Quello che vedo io è una schiera di giovani artisti ed autori, creativamente eterogenea, pronta a mettersi in gioco con proposte fresche, soprattutto in relazione all’offerta a cui ci ha abituato il cinema italiano nell’ultimo ventennio a cui si contrappone, però, ancora una sorta di pregiudizio e diffidenza da parte del mondo della produzione, legata a concetti di cinema che giocano sull’incasso sicuro e sul cercare di minimizzare il più possibile i rischi. Per fortuna non mancano delle eccezioni che danno speranza, sia dal sempre vivace universo delle pellicole indipendenti, che da quello delle produzioni ad alto budget come Freaks Out, solo per citare l’esempio più recente.Nonostante questi ultimi però, il mio sguardo, come quello di molti giovani colleghi, sta volgendo sempre più verso l’estero, anche grazie ai molti festival che fuori dal nostro paese permettono sempre di più di confortarsi con realtà spesso più dinamiche e pronte ad accogliere le proposte delle nuove voci di tutto il mondo.Il rapporto con la sua città Natale .Vengo da un piccolo paese delle Marche di nome Loreto. Alla cultura di provincia, diffidente nei confronti delle novità e dell’insolito, si unisce un accentuato sentire religioso dovuto alla presenza della Madonna Nera all’interno della basilica. Non la realtà migliore, apparentemente, per un creativo estremamente laico ed estremamente distante da qualsivoglia forma di cattolica devozione. Motivo per cui ho sempre cercato la mia strada lontano dalla mia terra natia, da Bologna a Roma (dove vivo attualmente) con continue incursioni nel resto del mondo grazie ai miei progetti.Eppure, nonostante questo preambolo, il legame con le mie radici resta forte, tanto che “Shelter” è stato girato, almeno in parte, proprio nei luoghi della mia gioventù. Il lavoro al tempo del “coronavirus” come stanno rispondendo gli artisti a questa emergenza virale ed umanitaria che ha colpito l’Italia e il mondo e come pensate di rientrare in campo viste le problematiche che sta affrontando il mondo della cultura in generale.Con testardaggine, voglia di mettersi in gioco e capacità di adattamento. Io e la mia squadra, ad esempio, siamo riusciti a realizzare Shelter in piena emergenza pandemica grazie allo sforzo congiunto di tutte le figure coinvolte: da cast e troupe sino a sponsor, enti pubblici e burocrati. È stata una piccola impresa, tra restrizioni, pile infinite di documenti e tempistiche da rispettare ma sono convinto che ne sia valsa la pena. Infatti, al netto dei suoi limiti, Shelter è al momento il lavoro di cui vado più fiero, proprio per tutta la travagliata storia alle sue spalle.Insomma la pandemia è stata sì una disgrazia ma ha anche motivato me e tantissimi altri a rimboccarsi ancor di più le maniche per ripartire con ancor più slancio. I suoi prossimi impegni.Al momento sono nel pieno della pre-produzione del mio nuovo cortometraggio, Friendly Game, una black comedy completamente al femminile che trae ispirazione dalla tagliente commedia inglese, prima tra tutti “The Party”, ma anche da drammi come “Carnage” di Roman Polanski o “The Lighthouse” di Robert Eggers (lo so, quest’ultimo potrebbe suonare strano a prima vista). La sceneggiatura, ad opera della talentuosa Adelaide Meloni, è completa ed ora stiamo cercando di ottenere i fondi necessari per far partire la macchina produttiva.Allo stesso tempo, però, guardo già avanti. Senza svelare troppo, posso dirvi che l’ambizione di compiere il grande salto è ormai troppo forte, motivo per cui, con l’ausilio di vecchi e nuovi compagni di viaggio, sono al lavoro su diverse sceneggiature nella speranza, in un futuro non troppo lontano, di poter finalmente dirigere il mio primo lungometraggio.