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Bando CINECI' 2023 - Corti Cultural Classic 2023 per la sezione Carnevale al vincitore un premio di 2000 euro e al miglior corto..
01/12/2022
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Per la RUBRICA "Le buone letture" - LA VARIABILE UMANA di Elisabetta Stragapede
25/11/2022
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Novità dal Blog
"Amore e passione": il manager Antonio Desiderio porta i grandi amori e la passione latina in scena a passi da danza"
06/03/2023
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Ai nastri di partenza la terza edizione del Concorso letterario tra Poesie e Racconti "IL DONO PER LA VITA"
03/03/2023
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L'attore Danilo Napoleone: " NON AVREI MAI PENSATO DI FARE QUESTO MESTIERE, QUANDO ERO PICCOLO AVEVO PAURA DI STARE AL CENTRO DELL’ATTENZIONE. CREDO CHE LA COSA PIÙ BELLA DI QUESTO MESTIERE È SCOPRIRE SÉ STESSI E MOSTRARE A TUTTI LE PROPRIE FRAGILITÀ."
03/03/2023
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“La Sacra Bibbia Dell’Amore” approda a Teatro. il 4 e il 5 marzo a Benevento all'Auditorium Spina Verde e il 7 e 8 marzo a Roma Teatro Tordinona
27/02/2023
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Il danzatore e coreografo Fabio Crestale :"Sono sicuramente molto legato a quella che è in assoluto la mia prima composizione coreografica: “Al muro”, che debuttò nel 2011 e che fu frutto dei miei primi anni vissuti a Parigi..."
09/02/2023
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Anastasia Laurelli, AUTRICE PREMIATA al XVI° Premio Letterario Internazionale NCC
Iniziativa "Una vetrina in più" riservata agli Autori e alle Opere premiate
Anastasia Laurelli
-
autrice dell'Opera "
La memoria dell'acqua
"
meritevole del
Premio Speciale del Presidente
per la
Narrativa Inedita
LA MEMORIA DELL’ACQUA
Alfonsina prese posto sul chicco di grandine dopo aver posizionato la valigia nel vano portaoggetti e si cacciò in testa il casco bianco con la striscia rossa nel mezzo, che suo padre le aveva regalato al conseguimento della patente di volo.
Sorrise mentre lo allacciava sotto il mento esattamente come quando, da gocciolina, ne indossava uno simile prima di scivolare sui vetri, attenta a non scorrere via, lontano, e cadere, e spezzarsi; suo padre la seguiva come un segugio, tenendola sempre a portata d’occhio e a qualche passo dal cuore.
Picchiettò sul casco due volte, con le nocche, come a volerne testare la resistenza; un’abitudine, un tic, un gesto scaramantico a cui si concedeva ogni qualvolta dovesse volare.
Si era fatta goccia di pioggia.
L’aveva scelto, forse, per allontanarsi da casa, ma anche per viaggiare in posti lontani. Aveva nuotato con i delfini del Mediterraneo e, evaporata, si era ritrovata bloccata in Kenya. Scivolando e stropicciandosi un poco, aveva attraversato il terreno per tuffarsi in un fiume sotterraneo, unica via verso il mare. Ma ogni volta le mancava casa, desiderava tornare. Un punto d’inizio da cui misurare la distanza percorsa.
Sbuffò mentre un’anziana, con il suo tardigrado, le si sedeva accanto.
Dopo il suo primo viaggio in solitaria, Alfonsina cominciò ad odiare i viaggi in Tempesta; detestava restare bloccata, stretta nel suo chicco di grandine, mentre le nuvole avanzavano, strisciando e rotolando nei cieli.
Ora, invece, si ritrovava a viaggiare in corriera. Da goccia di pioggia avrebbe potuto lanciarsi dalla sua nuvola d’ufficio e paracadutarsi direttamente davanti casa, ma suo padre e sua madre si sarebbero spaventati a morte.
Sicuramente, pensò, il ritorno l’avrebbe fatto evaporando; rientrare con il Fiume era escluso. Per quanto la vista fosse panoramica, il viaggio era troppo lento e pericoloso: avrebbe rischiato di evaporare nel momento sbagliato, nella nuvola sbagliata, vapore fra il vapore. Magari, si sarebbe ritrovata fiocco di neve e un piccolo umano l’avrebbe usata come parte della testa di un pupazzo ghiacciato o, peggio ancora, si sarebbe ritrovata bevuta, costretta a scendere dentro un corpo, fino alla vescica. Quando era gocciolina, suo padre le aveva raccontato di un’esperienza del genere; rabbrividì al solo pensiero.
Il padre, Pasqualino, quando lei era solo una gocciolina che ha paura del buio, viaggiava spesso per lavoro. Ogni domenica, all’imbrunire, indossava pinne e maschera, salutava la figlia e la moglie, Cristallina, e da brava goccia di fiume, raggiungeva il suo flusso, per rimanere fuori fino al venerdì successivo.
Alfonsina era molto piccola e quando Pasqualino, scherzando, le diceva che Cristallina l’aveva cacciato di casa, lei gli credeva davvero e temeva che il suo papà non sarebbe tornato.
Era un pensiero stupido, ma a quell’età le sembrava verosimile; ed ogni volta, al ritorno del padre, restava stupita nel vederlo rincasare.
Anche sua madre, Cristallina, aveva viaggiato per lavoro, ma per distanze e periodi più brevi di quelli di Pasqualino. Quasi all’alba si univa alla nebbia e, lentamente, avanzava verso i paesi vicini, arrivando a lavoro dopo un andirivieni di curve. Alfonsina non aveva mai temuto che sua madre potesse non tornare.
Il grasso tardigrado strillò mentre la sua grassa padrona cercava di costringerlo al minuscolo trasportino, appoggiato sulle sue gambe.
Alfonsina sorrise. Le tornò in mente quando, da gocciolina, le avevano regalato un acaro, Twinkle Twinkle, TiTi per gli amici. Dopo qualche settimana, lei cominciò a chiedere un’amica per quell’esserino solitario, e fu così che una sera trovò in camera Chicca, un’acaro
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che avrebbe stupito tutti perché cresceva a dismisura nella vaschetta condivisa con TwinkleTwinkle.
Immediatamente dopo ricordò il funerale di TiTi, morto per zampa di Chicca, in difesa del proprio territorio.
Pasqualino aveva messo la carcassa in una scatola e, senza farsi scoprire dalla figlia, aveva portato via il feretro. Una volta tornato a casa, spalleggiato dalla moglie, aveva raccontato di aver lasciato TwinckleTwinckle in una campagna non molto lontana da casa. Cristallina aveva aggiunto che probabilmente TiTi non fosse un acaro d’acqua, bensì di terra; lì sarebbe stata più felice.
La sua mente di gocciolina, immagazzinate le menzogne dei genitori, le permise di immaginare il padre mentre, tenendo l’acaro per la coda, lo faceva roteare in modo da lanciarlo il più lontano possibile.
Alfonsina si sorprese a sorridere, ripensando a come fosse permeabile la sua fantasia di gocciolina.
Credeva a un mucchio di frottole, da gocciolina, e molte se le raccontava da sola; si diceva tante bugie, ad esempio, per non avere paura del buio.
Di notte, nella stanzetta buia e fredda, le sembrava di sentire rumori provenire oltre il corridoio, dalla cucina. Sinistri scricchiolii, probabilmente il legno dei mobili antichi, si tramutavano in ladri e assassini, in streghe e mostri pronti a farle del male; allora Alfonsina serrava gli occhi e immaginava che Pasqualino, scivolato silenziosamente lungo il corridoio armato di padella e forchettone, attaccasse gli invasori.
Con la testa sotto le coperte e gli occhi chiusi, così stretti da vedere infinite lucine, Alfonsina aspettava che il padre si svegliasse, in pratica aspettava che la paura avesse la meglio sull’attesa. Quando questo accadeva, iniziava a urlare nel cuore della notte «Papaaaaa!»; lo faceva solo quando Pasqualino era in casa: quando lui era via per lavoro, lei usurpava il posto del padre nel lettone, si girava per dare le spalle alla porta della stanza e allo specchio e, infilati i piedini sotto le gambe della madre, per riscaldarsi, dormiva con lei. E, dormendo con lei, sapeva che per svegliare Cristallina si sarebbe dovuta armare di pazienza, avrebbe dovuto scuoterla e chiamarla ripetutamente «mamma, mamma, mamma» finché non l’avesse sentita lamentarsi e biascicare uno strano «stavo ‘ormendo».
Il chicco di grandine sussultò con una raffica di vento che spinse quasi a destinazione la loro nuvola di Tempesta, della compagnia di bandiera inglese “Hailstorm”; un tuono annunciò l’avvio della manovra di atterraggio.
Quando Alfonsina si concentrava, come in quel frangente, riusciva a recuperare ricordi lontani, così remoti e nascosti da aver perso dei pezzi per la strada del tempo. A volte erano suoni, altre volte immagini, in qualche caso addirittura odori.
Se chiudeva gli occhi, come in quel momento, la giovane goccia di pioggia riusciva a richiamare a sé lontane sensazioni. Ora aveva recuperato una scena notturna, nell’auto con i genitori, quando nel dormiveglia sentiva il rombo ipnotico del motore e l’odore dei sedili, mentre la luce dei lampioni le accarezzava le palpebre socchiuse.
Spesso, vagando nei ricordi, riusciva ad avvertire un particolare profumo della madre e l’immagine di lei che, davanti allo specchio, metteva il rossetto scuro sulle labbra. Certe volte le sembrava di riuscire perfino ad afferrare il ricordo dei suoi lunghi capelli neri fra le sue dita di gocciolina.
Non aveva modo di datare quei brandelli di quotidianità e col passar del tempo le sembrava che divenissero sempre più difficili da far riaffiorare. Era come se fossero passati in un tritacarte, ridotti
in lunghi filamenti di ricordi che non potevano più essere riordinati, tanti pezzi mischiati di puzzle
diversi, incapaci di creare un’immagine organica. Non era più in grado di ritrovare un “prima” e abbinarlo con un “dopo”; poteva accontentarsi soltanto di quei piccoli squarci, di quelle immagini fugaci di secondi rubati a un passato lontano.
Con la coda dell’occhio, qualche posto avanti al suo, vide una giovane goccia leggere una fiaba al suo gocciolino.
Suo padre, ricordò, le raccontava favole per farla addormentare, parlavano di due esseri umani; le inventava sul momento per poi rammaricarsi, a distanza di anni, di non averle trascritte. Alfonsina non ricordava quasi nulla di quelle storie inventate, se non qualche parola, le buffe voci del padre e i suoi perentori «dormi» quando lei, di dormire, non ne voleva proprio sapere. E spesso era lui che si addormentava accanto a lei, a volte addirittura crollava, seduto sulla sedia e con il vestito del lavoro, con qualche goccia di saliva che da un angolo della bocca scendeva su cravatta e camicia.
Sua madre, invece, le leggeva libri, “libri da grande”. Però, se Alfonsina faceva fatica a prendere sonno, Cristallina accendeva la luce del comodino e le diceva di chiudere gli occhi, e immaginare un grande prato verde dove fossero presenti tutte le persone a cui voleva bene. Con gli occhi chiusi e i muscoli tesi, Alfonsina guardava dall’alto i genitori, le cugine, gli zii, le nonne, gli amici, sospesi sul grande rettangolo verde immerso nel nulla. La gocciolina non aveva mai capito se la tecnica funzionasse perché immaginare gli affetti la rilassasse e le permettesse di addormentarsi o se, invece, fosse la fatica di non pensare a sfiancarla e a farla dormire.
Poi “si era fatta grande”.
Di quel “grande” che ha una gamba nel mondo delle favole e l’altra nel mondo degli adulti. Questo Alfonsina non lo sapeva mica. Anzi, le sembrava che gli adulti le precludessero di raggiungere il posto che le spettava di diritto dalla nascita. Un complotto mondiale per trasformarla in una gocciolina fuori posto.
Tutti quei segreti, nascosti nella formula «non conosci quello di cui parliamo, inutile che te lo dica», e il giogo dell’autorità genitoriale che le impediva di sfruttare a pieno il suo immaturo potere decisionale, le sembravano un’ingiustizia insopportabile.
Intanto sperava che, così come si era ritrovata, da un giorno all’altro, viva, così come aveva iniziato ad andare a scuola ed era stata automaticamente inserita nel sistema, così qualcuno l’avrebbe presto presa per mano e l’avrebbe condotta al suo posto, dicendole «ecco a te, qui è dove tu sei e vivi nel
mondo».
Oppure, più semplicemente, come nel mondo delle favole, credeva ancora che la maturità si acquisisse automaticamente al raggiungimento del quattordicesimo temporale e non riusciva a comprendere che il mondo, fortunatamente, non funzionava così.
E nel frattempo erano iniziati i litigi, i capricci, i dispetti.
Alfonsina, era “diventata grande”, ma non se ne era accorta e, come ogni goccia un po’ ancora gocciolina, credeva che tutto il mondo fosse contro di lei per farla rimanere piccina-piccina.
La giovane sorrise di sé stessa e dell’imbecillità dell’adolescenza, e picchiettò con le nocche sul casco come a volersi premurare, prima dell’atterraggio, che fosse al suo posto.
Una volta, sua nonna, Nonna Titina, dopo averle tirato una
carocchia
2
perché, a sua detta, ripeteva a pappagallo la lezione di storia, sentenziò che aveva
la capa tosta,
la testa dura
.
E ad avercela, Alfonsina ce l’aveva davvero.
Non aveva mai chiesto scusa per i frequenti litigi, per i continui capricci di adolescente, non l’aveva fatto nemmeno con la nonna, che adorava.
Ricordava quando il padre, arrabbiato, le tirava gli schiaffi sulle mani o sulle braccia e lei, al posto di piangere o urlare, lo guardava negli occhi, per sfidarlo, mentre grattava il punto dove lui l’aveva colpita, come a voler grattare quell’offesa via dalla pelle.
Ricordava come, inchiodandolo con lo sguardo, pensasse «Guarda. Guarda. Non mi hai fatto niente. E la prossima volta io ti farò arrabbiare di nuovo e di più; e tu, di nuovo, non mi farai niente», mentre tratteneva il fiato pur di non piangere. E poi avrebbe passato le ore successive a chiedersi se il padre le volesse ancora bene.
Cristallina era più brava a gestire quelle situazioni, riusciva più o meno a tenerla a bada con i suoi «se mi vuoi bene, non lo fai» e le promesse di sorprese e regali. E poi sua madre, al contrario di Pasqualino, non reggeva il broncio per molto tempo.
La goccia di pioggia si morse il labbro quando il chicco di grandine venne sparato verso terra. Non aveva mai ringraziato i suoi genitori, non come avrebbe voluto e come avrebbero meritato.
Ci sono cose che spesso vengono lasciate “non dette” e, per questo, date per scontate. Forse subentra un istintivo meccanismo di difesa, pudore, discrezione.
E ci sono cose che, seppur in precedenza date per scontate, non possono in un momento successivo essere proferite ad alta voce, perché le parole adatte a farlo appartengono a un tempo così remoto da essere andate perdute, come i ricordi sfilacciati di quando si è davvero piccoli. Immagini lontane, oniriche, senza una forma specifica.
Ci sono cose che sono così e basta, senza ulteriori spiegazioni; avvenimenti naturali, come il fiume che scorre o la pioggia che cade.
A qualche metro da terra, imbracata nel chicco di grandine, Alfonsina nel buio riconobbe suo padre, poco lontano, sul cofano di un’auto.
Immaginò sua madre in cucina o sul divano, ancora sveglia solo per poterla salutare.
Sganciò le cinture e si lasciò cadere accanto a lui; forse gli avrebbe dovuto dire qualcosa, qualsiasi cosa. Suo padre accennò un sorriso o, almeno, così le parve. Insieme scivolarono nell’incavo del paraurti.
La goccia di pioggia avrebbe sicuramente detto qualcosa, prima o poi.
Lo avrebbe fatto quando, nella sua memoria, avrebbe ritrovato le parole giuste.
Motivazione della Giuria
Un racconto che parla di memoria in un modo molto originale, al seguito di una goccia di pioggia dalle vicende di vita e dagli affetti decisamente umani. La protagonista, Alfonsina, compie un viaggio nel viaggio, a ritroso nel tempo, recuperando remoti ricordi, sensazioni e
“brandelli di quotidianità”
che la riportano sino all’infanzia, mentre l’esistenza segue il proprio corso, con tutti i suoi inevitabili sobbalzi.
Un’ottima scrittura capace di emozionare e suscitare profonde riflessioni, in particolare nella parte conclusiva del testo. Una grande e insolita metafora attraverso cui le parole non dette, seppur sospese in un tempo ormai indefinito, riacquistano tutto il loro peso in attesa di essere finalmente ritrovate.
Laura Vargiu.
Motivazione del Presidente di Giuria
Una domanda sorge spontanea al termine della lettura di questo bel racconto. Che età ha l’acqua? Quanto una sola goccia ha vissuto, nel continuo fluire e rigenerarsi, purificandosi e sporcandosi in un continuo divenire? Ma la chimica non è oggetto del racconto, invece sobbalza il piacere di sentirsi coinvolti nella Natura tanto spesso dimenticata dagli uomini, nella incoerenza del loro vivere tra buoni propositi e gravi mancanze. Ma il racconto lascia tutto ciò alla immaginazione del lettore, emulando le tecniche dei cartoni di Walt Disney rende umana la goccina di acqua, amata, con tutta la sua famiglia e le loro quotidianità, tra sogni e preoccupazioni. Un velo di dolcezza sovrasta il racconto e ne fa una bella immaginifica esperienza su cui potersi cullare, ma anche riflettere sul valore inestimabile di qualunque singola e sola goccia di acqua che è vita.
Giuseppe Laterza.
Anastasia Laurelli premiata dall'editore Giuseppe Laterza.
Breve BIOGRAFIA dell'Autrice
Anastasia Laurelli
, ventiquattrenne campobassana, vive fra il capoluogo molisano e Roma, dove frequenta alla LUISS “Guido Carli” il secondo anno del corso di Laurea Magistrale in Governo e Istituzioni, con indirizzo di specializzazione in Politiche Pubbliche; da settembre 2019 collabora con “LED”, testata on-line dall’università, che le ha pubblicato diversi articoli.
La smodata passione per la lettura e la scrittura traspare già guardando le sue borse, stracariche di libri, quaderni e fogli sparsi, pieni di appunti di ogni genere.
Nei ritagli di tempo, negli orari e nelle situazioni più impensate si estranea dal contesto circostante, recupera gli scritti appena imbastiti su carta, che preferisce a schermi e tastiere, e li modella in poesie, racconti e romanzi che stanno ottenendo importanti riconoscimenti.
Romanzi
Io non devo essere niente,
finalista 2014 del Premio Biennale di Narrativa inedita “Todaro-Faranda”
Racconti
Inutili
(Premio “M. Buldrini” 2012).
Correità
(Premio “M. Buldrini” 2013, pubblicazione 2015 in antologia di Historica Edizioni, Premio Letterario “Teatro Aurelio” 2016).
Destinazione Paradiso
(Premio “M. Buldrini” 2013, Premio Internazionale “Energia per la Vita” 2015, Premio Letterario Nazionale “88.88” 2016).
Sanitarium
(Concorso “Daneo” 2014, pubblicazione in antologia di Alcheringa Edizioni 2017, Premio Letterario Nazionale “Teatro Aurelio”, 2021).
Troppo tardi?
(Concorso “Domani forse” 2015, pubblicazione 2016 in antologia di Historica Edizioni, Premio Buonarroti 2016).
Pesci controcorrente
(Premio “Ignazio Russo” 2015 e pubblicazione nel 2016).
Un-changed
(Premio “Dei due Mari” 2015).
La rivoluzione dell’accusativo
(Concorso “Bifolchi” 2015, Concorso “Città di Cologna Spiaggia” 2016).
La Passione
(Concorso “Amo lui” 2016).
Oltre lo sguardo
(Concorso “Ti prego, amore, ricorda”).
Intestini in destini paralleli
(Concorso “Città di Cologna Spiaggia” 2017, Premio Letterario “Le dieci Ville” 2017, Premio Letterario Nazionale “Teatro Aurelio”, 2021).
Adolesc(i)enza
(Premio Letterario CISAF 2016).
L’Angelo della Morte
(pubblicazione 2018 in antologia di Historica Edizioni).
Mors tua, vindicta mea est
(pubblicazione in antologia 2017 Premio Letterario “Versus Sulmona”).
La lingua dello stomaco
(articolo pubblicato nel 2018 sulla Rivista “Psiche Arte e Società”).
Fiore di Ciliegio
(Premio Nazionale “Valerio Gentile” 2020).
La memoria dell’acqua
(Premio Internazionale “Napoli Cultural Classic” 2021).
I sette minuti più lunghi
(Concorso Letterario “Etnabook – Cultura sotto il vulcano” 2021).
Poesie
Fotogrammi
(Concorso “Donne sopra le righe” 2015).
Ritratto
(Concorso “Città di Sant’Anastasia” 2015).
Spltrin
(Premio Internazionale “Donna” 2016).
A nonna
(Concorso “Nuova Acropoli” 2016).
Connubio
(pubblicazione in Antologia 2016 Premio “V.Ceccani”).
Onda
(Premio “Città di Porto Viro” 2016, Premio Buonarroti 2016).
La sottile differenza
,
Il suono del Silenzio
,
Nonnanina
(pubblicazione nell’ Enciclopedia di Poesia Contemporanea 2016 - Premio “Mario Luzi”).
F(i)ori
(Premio Buonarroti 2016).
Tabula Arsa
(Premio Buonarroti 2017).
Viva
(pubblicazione in antologia 2017 del Premio “Versus Sulmona”).
Tormenti, (S)conosciuti, Estranei
(Concorso Internazionale di Poesia “Universum Academy Basilicata” 2017).
Rondini
(pubblicazione in antologia del Premio Città di Monza 2016).
Ricci
(Concorso “Descrivere l’invisibile” 2017
). La danzatrice
e
Urla che è colpa sua
(pubblicazione in antologia 2018 del Premio “100 poesie”).
Stavo pensando a te
(Premio “Poesie d’Amore”).
22 gennaio ‘19
,
Tarassaco
,
Delega
(Concorso Letterario “Etnabook – Cultura sotto il vulcano” 2021, con pubblicazione in antologia).
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