Animus”: viaggio per perdersi nella speranza di trovarci “Animus: Viaggio in un paesaggio interiore” è il titolo della mostra dell’artista Vincenzo Gallo, allestita presso il Complesso ex convento di San Felice a Benevento, dal 28 maggio al 4 giugno 2022. Il termine derivante dal latino animus – si legge nella descrizione della mostra – sta ad indicare «il proposito o l’intenzione, quale elemento soggettivo di un comportamento: quella molla tutta interna al Soggetto che lo protende verso l’esterno e innesca la sua azione nel mondo». Fortemente attento al senso di comunità e alle tematiche ad esso connesse, l’operazione condotta dall’artista è quella di invitare il fruitore ad arrestare questo slancio soggettivo irriflesso per interrogarsi sulle modalità del suo stare al mondo. Chi è questo soggetto? Cosa sappiamo veramente della nostra soggettività? E perché ci appare così ovvia la nostra autorità nel rapportarci alle cose del mondo, quando è questa nostra stessa autoaffermazione ad incidere sulla realtà, di cui pure siamo i fautori ordinari, ma da cui è sistematicamente sottratta la felicità?Sono questi gli interrogativi da cui prendono le mosse le sei opere a cui dà voce Manuel Severino accompagnando il visitatore, attraverso un supporto multimediale, nei paesaggi dell’interiorità.Anzitutto, una precisazione preliminare pare fondamentale per intendere sin da subito le finalità artistiche di Gallo. La scelta del paesaggio interiore come tema delle sue opere non deve trarre in inganno: l’interiorità non è qui chiamata in causa come porto sicuro, rifugio dalle intemperie che agitano e affliggono la realtà. Il viaggio che qui si ripercorre è il viaggio di un artista che cerca di scuotere il fruitore dall’interno. Un viaggio in cui il colore, sapientemente distribuito sulla tela, funge da bussola guidandoci e dando forma alla luce che varia continuamente la sua intensità. Si accende lì dove il colore è usato come chiaroscuro o in accostamenti di contrasti, per poi silenziosamente celarsi negli angoli bui delle tele. Ed è a partire da tale combinazione di colori che emerge il contenuto narrativo delle opere di Gallo: in quanto tendente al non-figurativo, ciò che in queste opere è narrato nulla ha a che vedere con i resoconti dei diari di bordo di una volta o degli attualissimi feed delle nostre vite virtuali, che curiamo sino allo sclerotico e in cui l’esperienza del viaggio è ben scandita da spazi e tempi definiti (quindi soggettivamente intesi). Il racconto di questi paesaggi anela piuttosto alla sottrazione della “voce narrante” dalla cornice raffigurativa. Non è il viaggio di uno ad essere raffigurato, ma il ri-piegamento del narratore onnisciente e autorevole che tenta nel racconto di silenziarsi e perdersi nei paesaggi che pure sono la rappresentazione della sua interiorità. Un controsenso che non può che costituire uno sforzo strenuo e fallimentare perché l’opera è sempre l’opera di qualcuno e, in sua vece, parla. Eppure, il tentativo resta: anche quando accennato nella proteiforme figura dell’omino presente nel Trittico della morte (dalla cui rappresentazione non possiamo desumere alcun tipo di informazione tale da fornirne una qualche caratterizzazione), la narrazione si libera del soggetto che compie il viaggio e che lo comunica, per mostrare quanto ciò che consideriamo “il nostro” e che dovrebbe segnare i confini con il mondo a ben guardare si perde in sbavature di colore e in contorni sfocati. Via allora anche alle connessioni temporali che dovrebbero sequenziare i momenti identificandoli come step dell’iter da percorrere. Nuovamente: se le tre opere del Trittico della morte presentano ancora una possibile lettura sequenziale, facilitata dall’alternarsi dei colori e, ancor di più, dalla presenza di elementi figurali maggiormente decodificabili per quanto simbolici, i tre nuovi lavori presentati in esclusiva alla mostra sono immagini di lampo, bagliori in cui la luce resta impressa sulla tela e ogni figurazione, ogni combinazione di elementi figurali ha la sua peculiare espressione costruttiva. Forte è infatti, dietro il lavoro d’artista che si mostra in queste opere, la ricerca di un linguaggio personale che scardini la logica della comunicazione fatta di idee chiare da veicolare, dati da trasmettere, nomi di luoghi e persone da protocollare – un lessico pervasivo che insidia i nostri sogni come i nostri desideri. Ma seppure non intellettualmente riconoscibili e decodificabili, i luoghi di questo viaggio aspirano alla comunicabilità universale: come tracce residuali di un Io che si erge (pre)potente sul mondo, le opere di Vincenzo Gallo costruiscono una forte connessione con il fruitore veicolando un messaggio e degli interrogativi (quelli succitati) la cui urgenza è sempre più attuale fintanto che non sarà trovata una soluzione reale e la vita nella comunità umana sarà vita di felicità per tutti. Sara Tramontano Vincenzo Gallo è un giovane artista nato il 7 Giugno 1995 a Napoli, dove si è laureato poi in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti. Terminati gli studi accademici, arricchisce la propria formazione a Barcellona, frequentando i dipartimenti di Belles Artes dell’Universitat de Barcelona e dove si specializza in Scultura sonora e del ferro. Muovendo i primi passi già da studente, è riuscito a farsi conoscere in varie realtà del mondo artistico esponendo le proprie opere in alcune città italiane, come Bari, Napoli, Roma, Firenze, Milano, e partecipando a mostre internazionali presso l’Innsbruck Art Fair, l’Atelier Pilar Guell di Barcellona e la Van Gogh Gallery di Madrid. Nel 2016 ha concorso alla Biennale d’incisione a Monsummano Terme, partecipando poi all’esposizione collettiva assieme a nomi del calibro di Lucian Freud ed Emilio Vedova. Fortemente persuaso dell’indiscutibile valore sociale dell’arte, ha partecipato a numerosi progetti innestati nel suo territorio d’origine, il vesuviano. Tra questi annovera progetti di riqualificazione urbana, workshop e mostre personali, come Il viaggio di O allestita nel 2017 presso uno dei beni confiscati alla camorra, Villa Fernandez a Portici. Nel 2020 è risultato vincitore del Premio Cesare Pavese, promosso dalla Fondazione Cesare Pavese di Cuneo, con l’opera Le tre età dell’uomo. Dal 2020 è inoltre fondatore e direttore del Blue Art studio, uno spazio artistico dedicato all’arte contemporanea che nasce con l’intento di valorizzare il territorio vesuviano e al cui interno sono presenti diverse realtà: la sua Academy, in cui è insegnante di pittura e disegno, uno spazio espositivo dedicato ad artisti emergenti e il suo atelier. Luigi Giordano è nato a Napoli nel 1988. Dopo aver terminato gli studi, si trasferisce in Germania dove inizia il suo percorso lavorativo nel mondo dell’arte collaborando con L’Istituto di Cultura Italiano a Stoccarda per la promozione culturale del nostro paese all’estero. Lì nel maggio 2015, si specializza nell’organizzazione e promozione di eventi culturali e nel management artistico, mantenendo alto il proprio interesse per la ricerca di artisti emergenti che rappresentino al massimo il nostro patrimonio culturale. Dopo 5 anni, riceve l’incarico di ufficio stampa presso uno dei giornali italiani più in voga nella grande mela, La Voce di New York. Proprio oltre oceano ha il piacere e l’onore di collaborare con le grandi firme dell’arte contemporanea italiana ed internazionale, partecipando ad importanti eventi d’arte come la New York International Art Expo.Proseguendo le sue ricerche nel mondo dei giovani talenti, torna a Napoli dove incontra l’artista Vincenzo Gallo e ne diviene il curatore. Nella sua scuderia vanta innumerevoli collaborazioni con artisti contemporanei italiani e non. Nel 2020, si specializza come art-advisor presso una delle più prestigiose case d’aste internazionali, Christies.