ECLOGA XI - un omaggio presuntuoso alla grande ombra di Andrea ZanzottoTesti di Andrea ZanzottoCon Leda Kreider e Marco MenegoniMusiche e sound design Mauro MartinuzDrammaturgia Simone Derai, Lisa GasparottoRegia, scene, luci Simone DeraiVoce del Recitativo Veneziano Luca AltavillaLa scena ospita un’evocazione dell’opera Wood #12 A Z per gentile concessione di Francesco De GrandiRealizzazioni Luisa FabrisImmagine promozionale realizzata da Giacomo CarmagnolaOrganizzazione Annalisa GrisiAmministrazione Maria Grazia TononManagement e Distribuzione Michele MeleStaff Centrale Fies Marco Burchini, Vania Lorenzi, Sara IschiaProduzione Anagoor 2022Coproduzione Centrale Fies, Fondazione Teatro Donizetti Bergamo, ERT / Teatro Nazionale,TPE - Teatro Piemonte Europa / Festival delle Colline Torinesi, Operaestate Festival VenetoECLOGA XIun omaggio presuntuoso alla grande ombra di Andrea ZanzottoIl titolo di questo lavoro allude alla raccolta di versi IX Ecloghe che Andrea Zanzotto pubblicò nel 1962. Ilpoeta di Pieve di Soligo sceglieva per umiltà di stare un passo indietro al luminoso Virgilio e alle dieciecloghe delle Bucoliche.Oggi, tuttavia, noi possiamo scorgere nell’intera opera di Zanzotto la realizzazione di una catena poetica cheda Virgilio (a Dante, a Petrarca, a Hölderlin, a Leopardi, a Pasolini, a Celan... transitando e rilanciando pontidi poeta in poeta) porta la fiamma oltre. Non una gara tra poeti, ma una corsa a staffetta: così la tradizione èsottoposta ad oltranza per mettere a rischio se stessi più dei propri padri, per stare in precario equilibrio tral’aura del passato e il disincanto cui la poesia va incontro in questa società post capitalistica.Zanzotto sembra raccogliere tutti i testimoni, tutti i segnali di luce provenienti dal passato e, scorgendo inavanti i segni indecifrabili della luce futura, solleva e agita la lanterna nella notte del presente facendosiVirgilio per tutti noi.Ultra moderno e antichissimo a un tempo, Zanzotto sa bene che la letteratura è come un coro di voci dimorti. L’ultra modernità da antichissimo che connota Zanzotto non è tuttavia un dato puramente letterario, ela sovrimpressione delle bucoliche al proprio paesaggio, al proprio linguaggio, non è mai piana memorialetteraria, bensì̀ percezione di una irrimediabile frattura tra chi è ormai “versato nel duemila” e quel mondoperduto. Questa consapevolezza coincide e si estende in coscienza della faglia su cui si cammina che è unavisione paleontologica più che storico-culturale: non si può più parlare di tradizione in modo neutro,dimenticando che i secoli intercorsi tra Omero e noi sono nulla rispetto alla vertigine del tempo biologico,geologico e ancor più astrologico.Zanzotto capta e illumina l’inferno dentro il quale siamo calati eppure ostinatamente regge il fuoco di unasperanza bambina.L’intera sua opera rivela una natura complessa e cangiante, inafferrabile ma non oscura: il poeta delpaesaggio, attraverso la visione della devastazione del paesaggio e la crisi del paesaggio interiore, dellapsiche e della lingua, afferra e connette le cause e gli effetti di un dolore che rende muti, ergendosi prestocome forza civile e storica e persino metafisica. È qui che si manifesta il raggiungimento del maestro:l’intera opera di Zanzotto, come una nuova ecloga, oltre le dieci di Virgilio, parla con la voce futura dellaprofezia e rinnova la visione di un bambino che verrà.Un sottotitolo accompagna il titolo principale “un omaggio presuntuoso alla grande ombra di AndreaZanzotto” esattamente come le IX Ecloghe erano state definite da Zanzotto stesso “un omaggio presuntuosoalla grande ombra di Virgilio”: riconosciamo così come inevitabile il difetto rispetto ad un’opera immensa e(per quanto spinto dall’amore) arrogante ogni tentativo di definirla.ANAGOOR E ZANZOTTOAnagoor ha sede a Castelfranco Veneto e ha un atelier operativo nella campagna trevigiana in un exallevamento di conigli trasformato in teatro.Da sempre ha a cuore la relazione che intercorre tra politica, lingua, ambiente naturale e paesaggio: lo faconvocando sulla scena linguaggi diversi, una babele delle arti (da quelle visive alla poesia) nello sforzo didire il reale e le sue fratture. Il collettivo opera in Italia e all’estero e ha ricevuto nel tempo diversiriconoscimenti (tra questi il Leone d’Argento per l’innovazione teatrale alla Biennale di Venezia del 2018).Anagoor pur non citandolo mai esplicitamente ha da tempo fatto propria la lezione di Zanzotto.Molte le analogie che legano il gruppo di Castelfranco al poeta di Pieve di Soligo: la scelta radicale diosservare la storia dalla periferia senza che questa posizione implichi chiusura e arroccamento, la relazionecomplessa con la tradizione e con il canone che determina un’inattualità ostinata, la sofferenza per ladevastazione, la tenacia nel rinnovare la fiamma di arti solo apparentemente inascoltate.ANAGOOR, IL VERSO, ZANZOTTO E PASOLINIEcloga XI prosegue l’indagine scenica sulla parola poetica che da sempre Anagoor conduce.L’inutile ronda e Ciclogenesi (Operestate Veneto 2005 e 2006) furono due primi embrionali esperimenti suversi di Andrea Zanzotto, Amelia Rosselli, Alda Merini, Maria Luisa Spaziani, Silvia Bre, Patriza Valduga,Giulio Mozzi e altri.Con il Magnificat di Alda Merini (2008) Anagoor inizia un percorso di esclusiva attenzione legato a singolevoci poetiche. Con questo lavoro avvia l’esplorazione del mistero della parola e della sofferenza del poetache si fa carne attraverso la voce dell’attore.Il confronto con i versi in latino del II libro dell’Eneide, tra i più dolorosi e violenti prodotti dalla poesia ditutti i tempi, conduce alla creazione di Virgilio Brucia (2014): insieme riflessione sul fuoco della creazioneartistica, sguardo alla storia e sciamanica evocazione della tradizione. La memorabile performance di MarcoMenegoni registrata al Piccolo Teatro di Milano è oggi travasata su vinile a imperitura memoria.Un concerto/masque disperatamente amoroso (Master/Mistress, 2017) composto sui sonetti di WilliamShakespeare scivola nei territori oscuri della passione e anticipa i tempi oscuri della pandemia.La traduzione dei versi di Eschilo per la messinscena dell’Orestea sono oggetto di analisi in Una festa tranoi e i morti, pubblicazione della casa editrice Cronopio, 2020.Ma è con L’italiano è ladro di Pier Paolo Pasolini (2016) che Anagoor dichiara, come un manifesto, lapropria posizione di medium che non rinuncia né alla riflessione critica né alla totale adesione emozionalealla bruciante urgenza del verso.Giungere a Zanzotto dopo Eschilo, Virgilio e Pasolini è passaggio politicamente inevitabile. Zanzotto indicai sintomi di una megamalattia in corso. È una crisi di “un’idea dell’uomo rimasta abbastanza stabile permillenni”, ma è una visione che supera anche la mutazione antropologica pasoliniana. Se Pasolini assegna indefinitiva la priorità ancora a una dinamica di classe, con l’idea di genocidio culturale a descrivere la fine delmillenario mondo contadino, Zanzotto come in una staffetta apocalittica estrema, lo supera su un pianoecologico e planetario. Nel definire la sua apocalisse, Pasolini rimane in una prospettiva antropocentrica, nonabbandonando la dimensione del tempo umano. Al contrario, attraverso l’espressione fine dell’eone, e nelcontesto di una lucidissima visione della devastazione climatica definitiva Zanzotto inserisce la suariflessione in un tempo non umano, quello, impensabile e perturbante, delle ere geologiche.ANAGOOR, L’IMMAGINE, ZANZOTTO E GIORGIONEEcloga XI si apre per gli spettatori con un atto di puro ascolto in assenza di immagine. È offerta lariproduzione acustica di un nastro magnetico. Il nastro contiene la registrazione di un evento che è un doppiofalso: si tratta di un immaginario antico carnevale veneziano, falso documento proveniente da unun’imprecisata epoca storica, ma è anche il reenactment, inautentico, del celeberrimo incipit del Casanova diFellini per il quale Zanzotto compose i versi del Recitativo Veneziano raccolto poi in Filò. L’emersione e ilcrollo dell’idolo, la grande testa di Reitia antica dea delle popolazioni dell’alto Adriatico, tessitrice, cucitrice,riparatrice, imago e venusia, desiderata e negata, partorita dalla fantasia di Fellini-Zanzotto, racconta moltecose: della protervia di un’intera società (locale e universale), ma anche della sua fragilità, dell’eternobisogno di costruire immagini ad arte, della loro inefficacia, della capacità della parola di ricucire i pezzimancanti come in un sogno.Nonostante potesse sembrare via congeniale per ribadire la denuncia ecologica di Zanzotto, in Ecloga XIAnagoor rinuncia completamente all’utilizzo delle immagini video con le quali ha intessuto più volte i proprilavori aprendo squarci sulla devastazione della terra e sulla violenza perpetrata sulle altre specie.Il sipario si apre invece ancora una volta – come una nota ostinata - sulla Tempesta di Giorgione a cuiAnagoor ha dedicato in passato altri lavori. Una grande riproduzione della tela del pittore di Castelfranco,primo e fulminante “paesaggio” della storia dell’arte, campeggia priva delle tre figure umane: senza l’uomocon l’asta e senza la donna nuda con il bambino, resta unicamente l’orizzonte della città turrita e desertaimmersa e sovrastata dalla natura. Puro paesaggio, eppure non pura natura. L’orizzonte e la visione dellanatura sono irrimediabilmente mediati, filtrati, contagiati, corrotti dalla cultura. Galateo e bosco. Antinomiaper eccellenza: il divario e le derive generate da questa tensione hanno implicazioni psichiche, etiche,politiche. E quando il terremoto apre la faglia, la psiche frana e la lingua si spacca. Alcuni poeti comesismografi sanno farsi antenna.Ma quando è successo?Dire l’origine è impossibile se non per mezzo di una infinita catabasi: si potrebbe solo scendendo nei regnidei morti, negli inferni violenti. È la morte del padre come per Enea o il crollo di quella grande quercia dopouna notte di tempesta? È il rogo del borgo di Pieve ad opera dei nazisti? La lunga agonia del propriocompagno fuggito in campo aperto non protetto dalle pannocchie e raggiunto dalle mitragliate? Sono levittime di Hiroshima? I milioni di morti di tutti i Montelli della storia? A preparare la devastazione dicemento dei capannoni, delle arterie d’asfalto e delle escavazioni ci sono innumerevoli altre tombe e altrefosse. Bisognerebbe solo fondare il partito del vomito.Il padre di Zanzotto era un pittore. In casa dipinse un fregio che era specchio artificiale dell’orizzonte esternoosservabile dalle finestre, monti azzurrini, selve, orti, broli, un fondale di paradiso, un teatrino edenico dianimali e vegetali al centro del quale il padre pittore collocò Andrea stesso, il figlio bambino vestito daprincipe. L’orizzonte del paesaggio circonda Zanzotto ad anello, esterno e interno, naturale-artificiale, unabbraccio dolcissimo e mummificante, ma anche un baco da seta che preconizza una metamorfosi.Al di là del paesaggio, graficamente barrato come il poeta scelse di scriverlo ad un certo punto, torna acomparire la testa di Reitia, tessitrice e cucitrice, desiderata e negata, torna a dire infinite possibilità diriparazione e ricucitura. È dal fitto più scuro del bosco, dall’intrico più inestricabile della selva, che germinail filo delle possibilità a venire.Dietro il paesaggio negato, oscurato come l’icona sotto il quadro nero di Malevič, sorge un nuovo idolo,issato come un fondalino di carta lacerato e ricucito, un altro dipinto, un nuovo artificio. L’opera evocata suconcessione e collaborazione diretta del suo autore è Wood #12 AZ di Francesco De Grandi, pittore siciliano,la cui selva fosforescente e radioattiva corona la profezia di un orizzonte