La terribile storia dell’intellettuale eretico, nato nello stesso anno di Pasolini e come lui destinato a tirarsi addosso il peggio di un Paese feroce e reazionarioTutto l'amore che poteva legare un giovane intellettuale a un ragazzo di buona famiglia in un film che spreme ogni possibile dolcezza (e durezza) dalle campagne emiliane, dai portici di Piacenza, dai lunghi dialoghi fra maestro e allievo, da quella lingua insieme tenera e contundente.Tutto l'orrore di un'Italia dimenticata e vicina in un film che non ci risparmia nulla: gli elettrochoc in primo piano con cui la "buona famiglia" tenta di curare il ragazzo, i marchettari sempre pronti a diventare violenti, le scritte sul muro ("Casa del culatòn"), il processo per plagio, reato da sempre brandito contro i "diversi", i giudici che fanno domande offensive e l'imputato che a lungo nemmeno risponde, rifiutando di difendersi per non legittimare le accuse che gli vengono mosse. Ma anche il caporedattore dell'Unità che censura gli articoli del cronista inviato a seguire il processo Braibanti, impedendogli di scrivere "omosessuale" o "Partito Comunista", di cui Braibanti aveva fatto parte, cosa inconfessabile nel 1968.Infine, tutto l'investimento personale di un regista, Gianni Amelio, che ha fatto "Il Signore delle formiche" su proposta di Marco Bellocchio, come ha detto a Venezia, ma che su queste figure e questi conflitti lavora da sempre. Anche se mai in modo forse così esplicito. E viene da dire: era ora."IL SIGNORE DELLE FORMICHE", CON CUI GIANNI AMELIO PORTA SULLO SCHERMO UN CASO CELEBRE E DOLOROSO COME QUELLO DI ALDO BRAIBANTI, È UN FILM DIFFICILE DA FARE. NON TANTO PER LA STORIA IN SÉ, QUANTO PER LA RICOSTRUZIONE ESATTA DEL PERSONAGGIO DI ALDO BRAIBANTI E IL SUO COMPLESSO RUOLO NELLA CULTURA ITALIANA DEL TEMPO - UNA STORIA CHE ANDAVA RACCONTATA TRENTA-QUARANT’ANNI FA, MA SIAMO FATTI COSÌ, ARRIVIAMO SEMPRE IN RITARDO. COLPA DEI PRODUTTORI, SI DIRÀ, MA ANCHE DI UNA CERTA CODARDIA