Bisogna tornare indietro nel tempo ed alle mie origini, sono nato a Catanzaro e negli anni ’60 una scelta come quella di fare l’archeologo richiedeva un grande coraggio, soprattutto perché la trafila si prospettava lunga ed ardua. Ho avuto un appoggio incondizionato da parte di mia madre e di mio zio, il quale appresa la mia scelta mi fece dono del testo “Civiltà sepolte. Il romanzo dell’archeologia” noto ai più come Ceram, dallo pseudonimo dell’autore Kurt Wilhelm Marek. Dapprima mi iscrissi alla facoltà di Lettere a Roma col proposito di diventare insegnante, ma la capitale offriva stimoli culturali molteplici e decisi di seguire dei corsi di Archeologia. Approfondii gli studi di Topografia dell’Italia antica e forte dell’amicizia di Giuseppe Tucci, orientalista, esploratore, storico delle religioni, crebbe in me l’amore per l’archeologia che rappresentava il complemento per la ricerca storica. Il caso ha voluto che, mentre mi preparavo ad un corso abilitante per l’insegnamento, fosse bandito un concorso per il ruolo di ispettore archeologo, al quale partecipai con esito positivo nonostante la dura selezione.
Sicuramente lo scavo condotto presso l’Heraion di Capo Colonna, a Crotone, laddove mi sono imbattuto in un deposito votivo di grande rilevanza che ha consentito di recuperare oggetti di eccezionale valore, in bronzo, argento dorato e oro. All’epoca avevo quarant’anni e la fortuna del rinvenimento ha amplificato l’entusiasmo per il mio lavoro e per la ricerca, volta soprattutto alla valorizzazione della mia terra, la Calabria.
Il quadro che Paolo Orsi restituisce della Calabria rispecchia senza ombra di dubbio la situazione della Calabria a quel tempo, 1900-1920, si trattava di una terra ancora intatta dal punto di vista paesistico, con le difficoltà connesse sia alle comunicazioni che alle infrastrutture. L’Orsi in Calabria visse delle esperienze forti, tra cui il terremoto di Reggio Calabria del 1908 e la malaria. Contemporaneamente furono attuati gli interventi di bonifica delle paludi di Punta Alice, che consentirono all’Orsi di scoprire anche il famoso Persephoneion tra il 1908 ed il 1911. Le linee guida che lo studioso traccia per Locri, per Cauronia, Vibo Valentia, Sant’Eufemia Lamezia e Reggio Calabria, restano ancora oggi fondamentali e non si può prescindere dai suoi interventi e dalle sue ricerche nell’ambito archeologico.
Dopo un primo notevole restauro effettuato a Firenze i bronzi sono tornati a Reggio Calabria non svuotati della terra di fusione, vista la penuria di strumenti dedicati all’epoca del primo intervento conservativo. Nel 1994 con la direzione di Mario Serio si ottiene una importante sponsorizzazione da parte di Finmeccanica, operazione di restauro intesa come conoscenza; l’Istituto Centrale del Restauro assunse la direzione dell’operazione, fu affiancato su mia richiesta anche dalla nostra squadra, si decise di applicare la tecnica mutuata dalla chirurgia ovvero la laparoscopia, al fine di scavare all’interno delle statue. In questa occasione vi fu la conseguente invenzione di uno strumento appositamente creato detto telemanipolatore, un braccio meccanico in acciaio inox, endoscopio dotato di telecamera, che consentiva di utilizzare sia pinze che scalpelli di scavo e di fotografare e riprendere tutte le operazioni. Purtroppo una gran parte della documentazione è andata perduta, per fortuna è rimasta la pubblicazione dei tre volumi dedicati al restauro.
Sicuramente la convinzione che le popolazioni greche, come i greci di Crotone, rappresentino appieno l’altissima civiltà di provenienza, conservandone costumi ed ideali, basti ricordare che la città di Crotone vanti un cittadino illustre come Pitagora. Le popolazioni italiche che seguiranno queste prime civiltà greche saranno più selvagge, baderanno all’utile e non più agli ideali greci. Le popolazioni italiche daranno vita alla classe degli imprenditori, dei mercanti ed attueranno uno stile di vita differente; la loro sarà una civiltà più pragmatica, allontanandoli sempre più dal concetto di Ohikia, tipico della polis greca.
Sono stato sicuramente fortunato, anche perché mi hanno affiancato dei capo ufficio d’eccezione, offrendomi grandi possibilità di crescita professionale, esperienze presso l’Istituto Archeologico Germanico di Roma, all’estero soprattutto a Berlino e alla Scuola di Archeologia Italiana di Atene. Ho avuto possibilità di studio che mi hanno appagato ed hanno dato un senso ai sacrifici ed alle privazioni che questa professione richiede.
E’ mia intenzione riprendere lo studio e l’approfondimento di questo sito ma in questa occasione è fondamentale sottolineare uno degli aspetti dolorosi di questo ambito, cioè l’archeologia dei clandestini. Crotone e la fascia geografica a nord della città, Stromboli e Cirò, sono bersagliate da scavi e commerci clandestini. La famosa museruola da cavallo, che dovrebbe provenire da Vigna Nuova ha sollevato dei dubbi tra gli archeologi, in quanto può un manufatto così importante provenire da questo santuario? Restano molti dubbi a riguardo in quanto è più lecito pensare che provenga dalla tomba di un cavaliere breto; il dibattito è sempre una possibilità che apre nuove indagini e consente alla ricerca di affacciarsi a nuovi scenari, finché non arriva la prova definitiva che non è sempre scontata.
Assolutamente no, possono contribuire ma non in maniera determinante. I due ambiti, archeometria e scavo tradizionale, devono necessariamente andare sotto braccio. Entrambi gli aspetti dovrebbero fondersi, sarebbe auspicabile un dialogo più aperto tra il geologo e l’archeologo, tra paleontologo e fisico, questa dovrebbe essere la nuova metodologia da applicare. Lo scavo con il piccone e la pala resta il metodo più emozionante dal mio punto di vista, in quanto la manipolazione è fondamentale, senza sottovalutare nel contempo, il grande aiuto che offre oggi la tecnologia. In alcune zone come l’Etruria invece strumenti come il videoendoscopio, il teleradar o il telescopio restituiscono informazioni fondamentali, senza i quali strumenti risulterebbe arduo il lavoro archeologico.
La situazione attuale è discutibile ed è necessario sottolinearlo, pertanto prima di intraprendere questa strada è necessario votarsi al sacrificio, non solo per la ricerca sul terreno ma in primis per l’aspetto che riguarda lo studio. L’impegno deve essere forte dal punto di vista intellettivo, inoltre bisogna essere disposti a rinunciare a tante cose, anche alla famiglia in alcuni casi. Diciamo che svolgere la professione di Archeologo non è propriamente improvvisarsi Indiana Jones.
La formazione da privilegiare è quella classica, consiglierei di studiare Lettere Classiche, approfondire la storia e la filologia, in primis l’approfondimento filologico che, a mio avviso, è indispensabile e consente di essere un buon archeologo. Mi preme sottolineare che questa professione offre anche grandi vantaggi che riguardano il contatto con il territorio, con la terra e con la gente. Questi aspetti sono estremamente appaganti, infatti il contatto umano che avviene all’apertura di un cantiere o nel corso di una ricognizione è assolutamente straordinario ed i miei ricordi più belli sono legati a queste possibilità che la mia memoria conserva gelosamente.
a cura del Prof. Filargino Frusciante