…del cuore mio che canta le stagioni
2006
Avanza il rosso tra le stanche foglie
ferite dall’autunno che sconfina, che tocca e fugge e tra le pieghe incrina gli già sparuti sogni e le speranze.Muti ai bisogni sostano gli uccellisul raggio che cuce le stagioni:in maggio eran giostre di passioni e or s’annebbiano come tizzoni spenti.Stanno intenti a fissar la terra nudaamata come figli-predatori:la vigna saccheggiata, colma solo di colori,e gli sventrati solchi ancor senza futuro.Pullula l’aria di battiti e garriti , pulsa come un cuore nella fuga che impenna sul tracciato alta una rugae precipita in sfiancata linea al suolo. E’ un assolo che sparge meraviglia il volo che poi s’allarga a dismisura per raggrumarsi in una macchia scurache un’incauta nube veste a lutto. E tutto si risolve per incanto in una sforbiciata che taglia il cielo e sembra schiantarsi sopra il vecchio meloche in pianto d’ambra scioglie il suo respiro.Sosta ora il silenzio a darsi pace,ma nell’aria che tace, l’eco antica vibra della voce divenuta amicadel cuore mio che canta le stagioni.
…e folle mi si schiude la visione…
I funghi gonfi dell’ultima pioggia son pasto di lumaca che riluce al raggio che trapassa e poi ricuce le ore del mattino, in frange dalla bocca d’oro.Umida è l’erba e il passo indolente, pesante della notte che non dorme e nella stanca mente lascia orme di cacciator che insegue la sua preda .E fresca è l’aria del risveglioche al meglio mira tra le piume nere del merlo saltellante tra le zolle e folle mi si schiude la visione d’un tempo che fu rude,senz’arte nè ragione.Inutili le antenne sul ceppo angustoe le pesanti penne dell’ali cupe che della rupe avean pauranel balzo d’aria che segna l’avventura. S’asciuga l’erba, ma serba del mattino il denso profumo che m’intriga e in spiga repentino accresce il chicco che dianzi faceva spicco tra i pensieri. Sulle ali che il tempo dispiega colgo la piega amara d’ una ruga…un attimo appena ed è subito fuga tra le zolle ferite che diverranno culla .
Si svuota il solco del seme che s’annida senza sentir ragione di spietata arsura e s’offre a culla di solitudini riversesul ciglio d’un abbandono senz’appiglio.Il volo che allietava la cameliafievole ora stagna nel torpore d’un freddo crudo che ne mette a nudo il battito dell’imminente orrore. Nel dondolio d’una tenace foglia del rigore divenuta amica,colgo il sospiro d’una forza antica che docile del vento s’è fatta una ragione.E avido vaga il vecchio col bastone smovendo i giorni suoi da raccattare negl’incerti ritorni e nel riandare,anima sola che strattona rude la vita che lo sfugge e ancor s’illude.
In quest’inverno vigoroso...
Tutto prende il cielol’abete prigioniero di vetri tersi;lo sguardo tutto svende e oltre mira,mai sazio d’orizzonte in grazia al tempo che s’adombra e spira.Tagliano i rami a sfrondar l’ore ingiallite,ma è solo sforbiciata in un mattinoda ricucire con nascosti punti,orli slabbrati di percorsi congiunti,in quest’inverno vigorosoche sfugge il sonno, già sazio di riposo, si sbraccia prepotente e perentorio addital’attimo che inchioda a questa vita.
…e siano rudi i giorni che verranno…
E l’aria già si tinge di teporenel tempo che di vigore acerbo armava il nerbo dell’inverno e alla merla mutava colorenella gola nera d’una ciminiera. Ed è sola e straniera questa Terra,or ch’è presa da guerra di congiurae alla Natura presta la sua spadaperché il ghiaccio si sciolga in rugiada;e il gelo bruci le prime foglie tra le doglie d’un getto di bocciolo.E il fuoco sia sempre più solo, senz’acqua che mitighi la pena ;e la vena si dissangui in creta senza che meta sia raggiunta mai.E di ali siano frulli inattesi e brividi sospesi tra i rami nudi;e siano rudi i giorni che verranno e ostico lo scanno su cui sostareper il perdono da impetrare.
Questo febbraio, che nel camino si consuma, ha braccia nodose, anchilosate e stanche, e se profuma, è di vesti strappate e franche di libertà d’andar ramingo e solo.Sospeso in volo è il breve canto suo che muove a tenere sembianze il mio giardino nell’esser vecchio con giochi di bambino che al cauto candor riserva il suo stupore. Lo sguardo si sospinge oltre il chiarore e si finge viandante che sconfina,tenta la pozzanghera ghiacciatae sotto i passi suoi disfa la brina.L’inverno a tratti già scantona e si fa amico d’un sentiero aprico:il nodo allenta al cappio ed è sospirodel primo verde che respiro e miro.E sulla brace la fiamma si fa allegrae più vermiglia; in mano, che arruffae che scarmiglia, diviene chiomache s’appronta a sussurrare nuovo idioma.
Ricordi, marzo, il tempo del disgelo,quando, dimesso il torpore,il cuore tuo s’apriva come gemma?E di respiro nuovo s’infervorava il vecchio:alitava nel secchio e seminava brinaper tenersi lontano dalla china.Scivolava il tempo austero dal nero camino già sfamato,ma il vecchio ti teneva al laccioe con aghi di ghiaccio ti trafiggeva il cuore.Tra le ciglia del risveglio lacrimavizampilli di dolore e meraviglia,ma trilli d’allodola bisbigliava il fato e lancio di spilli ti rendeva arciere. Fragranza d’arancia giaceva nel bracieree nella stanza pulsava altra parolavenuta a svernare come fola.Ed ora che più non t’appartiene il tempo del disgelo né il vecchio tieneil laccio stretto in pugno,ho smarrito la strada dell’attesa,temo l’agguato, la trappola, la resa,il moto del vuoto , la voragine che aspira,il silenzio del vento che s’attorciglia in spira,il boato bianco che rotola e si schianta,e la pianta che mangia le radici.E le zolle infelici più non sono ampolle né la corolla è sposa di farfalla,in balla di fieno il grano muore amaroe umor di seno è il latte scuro e avaro.Ricordi, marzo, il tempo del disgelo?Ora è tempo di calar pietoso velo!
C’è un sole che m’accoglie nel mattino,pallido di freddo e d’abbandono,e dall’asfalto me ne giunge il suonocome d’ali intorpidite e vili.Scivola l’auto lenta nel risveglio,da cauta mano sul freddo del lenzuolo;rapida è l’intesa e superbo è il volo che all’acerbo giorno repentino volge.E s’incastra come sempre l’emozione nella lastra partorente l’illusione .L’ erbaccia lungo il ciglio della strada si scioglie in verde marcio maltrattato dal buio che s’è a lungo trascinato in veste di misero barbone . Sentinella impettita sul bastione,scruta un passero il suolo disertatodai frutti guasti e su lauti pasti sogna d’essersi rapido calato. A un balcone una donna s’affacciae si spaccia per vita al saluto ciò che al passato s’è appena venduto. E la montagna, che sembra a due passi,sorride dei sassi che prendono il sole dall’ultima sponda del loro grigioree si dicono stanchi di tanto sostare tra morte e vita senza mai rotolare.Farfuglia la radio ed è bisticcio che nessun traliccio può tradurre;smorzata la magia del primo assaggio,riprende il viaggio, come da copione.
L’estate è tutta qui che ascolta
l’acqua piovana raccolta nel catino,vibrante dello scorrere suo incertocome di lacrima su gota di bambinoche nel pianto tenta un riso nuovo.Ed è fruscio sommesso d’ali sorprese in volo che su onda d’aria cerca la sua sponda. L’estate , che m’ha dato albe di forza sferzando il sonno con luce prepotente,è tutta qui che mente un pallido risveglioed è spina nel fianco il brivido bianco che sente .L’estate è tutta qui racchiusa nel rosso rubino rotolatodall’ultimo racimolo di soleche, sfrondato d’ogni sua saetta, rassegnato aspetta il fiorir d’altra stagione.L’estate, che ciarlava spavalda di vacanze e oziose crociere,tra stanze vuote e tediose sereè tutta qui che farfuglia in sordinacon voce d’ubriaco in cantina.E’ vela d’ un giorno ora l’estate, che naviga incerto sull’approdo;è macchia biancache col Tempo ama giocar di frodo.È volteggio che dal ramo si stacca nell’ora che fiacca di luce spalanca la sua bocca ad ingoiare stelle,ma nulla più le tocca se altr’ ore non ha come sorelle.
…prigioniera di un ottobre che deraglia…Anche stamani mi ritrovo col sole che si stende lungo il vialecon ombra che non ha nulla di nuovo,ma ogni volta fa ancor più male.Ogni cosa lentamente si confina come gioco di bambini alla campana,e già in avanti balza un raggio che più coraggio ha, pronto a ferire.Sembra tutto più semplice ora che il giorno s’è aperto un varco e con sbarco di luce s’avventura alla conquista che va a spianar l’altura. Lacerante è la luce che soverchia ed accerchia il minuto spazio mio:prigioniera di un ottobre che deraglia, m’abbaglia l’ inusitato balenio.Grappoli di pensieri pendono dai tralci per vendemmie che macchiano il tino; invecchia l’anima lasciata a vinotra spauracchi di un mai trascorso giorno che a storno addito invanoe chiedo perdono alla mia stessa mano.
E tu che ami il concerto di cicale e grilli…
La luna nel vigneto è gioco d’ombre che lo sguardo della sera già cattura, stringe con filo argenteo di suturae d’uva e foglie fa una cosa sola.Distesa è la tovaglia per gli dei con intarsi di viticci inanellati e balze crespe che intralciano i ricami.E tu che ami il concerto di cicale e grilli,brilli di luce antica, generosa e viva annidatasi rapida e furtiva nella pupilla dei tuoi occhi stanchi.Nel boccale tintinnano i ricordidegli dei che sedevano al tuo fiancoe di nettare bianco spruzzavan le parolecome rugiada che incontra altro colore.Di sole cantava in gola l’avventura tra i filari a zolla dura abbarbicati,nel succo degli acini schiacciatie ai raspi derubati come preda.E seda ogni dolore l’afrore prepotente che nella mente si fa nebbia di soporeed è scompiglio d’ un altro ottobre in fugastretto nel morso d’ una nuova ruga.Racimolo d’un grappolo sospesoè l’ora tua che siderea sbianca, ma è occhio che amico ti rinfrancaal tocco d’un raggio sul bicchiere.
Giusto è il tempo del porsi in attesa
Compagno di viaggio del disilluso sguardo è l’arido paesaggio che del sole conosce solo il raggio che trafigge e del calore s’infligge la tortura fino a provar lo strazio dell’arsura. Ma non c’è monte che possa sottrargli il cielose in alto tenace si spinge e l’iride intinge in cerulei frammenti.Giusto è il tempo del porsi in attesa di trepidi venti d’intesa,amici partiti che posson tornare con schiere di cirri da sciorinare!Su desolata distesa sabbiosa, benefica pioggia il cielo mescee zolla ubertosa pronta divieneche accoglie e culla, nutre e accresce. E se il paesaggio ritorna brullo nel giro avverso delle stagioni,forte del seme dei giorni buoni,terso, lo sguardo, l’ignora e avanza.Compagna di viaggio è la speranza che sulle labbra si fa preghiera perché la sera, seppure scura, non possa mai farci paura.
La goccia che disseta
Rapace, l’insano, dagli artigli adunchistrazia il voler credere nell’uomoe sui sogni sottili come giunchispazia tiranno e spezza se non piega.Dispiega il cuor sudari dissepoltida fosse che traboccano stermini,bocche d’inferno tra i campi incoltidove superba dilaga la malerba.Ma la speranza ha radici più profonde antiche, assetate e tenaci,sgretola la pietra e fiducia infonde ed è sua meta la goccia che disseta:il vagito del seme non stroncatoa suggello ogni volta d’alleanzatra la pace e l’uomo smemoratoche la invoca, ma ne fa mattanza.