A mia figlia lontana
Come dirti : rimani
2005
Il giorno già s’attarda,avvinghiato ai rami e alle parolein questo marzo aperto al finto solee al tuono fragoroso che rovina.E or si spegne e l’ombra mia rientra,sol parvenza sul muro del vicino,e si riduce il canto a lumicinosull’onda di riverberi d’affranto.Le mani inoperose in grembo,inusitata attesa della notte,come a grano riposto nella botte,sottraggono manciata di preghiere.Sosta sulla soglia l’ora tardacon le imposte ancora da serraree quel sospiro che non vuol rientrareimpigliato tra le foglie dei gerani!Già dormi, sol di stanchezza stanca,or che dissolti sono i sogni vili(senza maniglie quelle porte ostili,angusti i passaggi e i treni già partiti).Rientri, sol per me, per darmi pacee mi rimandi il sorriso del congedo.Certa non sono, sai, di quel che vedo, ma scivolo nel sonno che acquieta.
Alzi per me la tenda sulla neveche t’ha colmato la tazza del risveglio;cauta la reggi e intanto sorseggi…la piazza che soggiace scolpita nell’ultimo moto di vita che sussulto le ha dato.Altro sorso…il corso ancor dormee son poche le orme e nervose,racchiuse in linea deforme.Un sorso ancora …e con falcate d’aliinsegui fino al cielo cattedrali.Ha respiro di gelo Aachen,ma di Natale ha concerti nel cuoree le note converte in scintille sul palco innevato. Qui invece,l’autunno è inciampato e s’attarda nella vigna , incurante dell’inverno che ghigna, in agguato.Spavaldo, uno stormo disdegna la fuga e una ruga disegna tra garriti stridenti.Tutto ciò tu non senti e non vedi,ma è trascorso riposto a cui sempre puoi andaretra una tazza e l’altra da sorseggiare.
Le storie nostre son fatte di parole…
Basta pigiare tasti ed entri in casa con la voce che tanto m’appartiene,invadi di risveglio questa stanza e annulli all’istante ogni distanza.Duemila chilometri prostrati dinanzi a onde propaganti e fiered’essermi amiche nelle tarde seretrascinate tra stralci di memorie.Le storie nostre son fatte di paroleor che gli abbracci sono strette vuote di curve tra celesti geometriee i baci incontri d’aria imprigionatitra intersezioni di dinamiche magie. E’ come averti qui, sopra il divano,ritrovo d’ogni nostra confidenza,croce da cui mi schioda l’impazienzaoggi che l’attesa è cosa vana.Stiamo qui a dir tutto d’un fiatosul filo del minuto che si tende,s’allarga a dismisura e ci sorprende,a non aver bisogno di parlare.Ma il saluto diventa acrobazia tra tentativi e tentennamenti,tra soste fatte di ripensamentie l’ultima parola, che sia la mia.E poi il silenzio, palpitante e vivo,si lascia impugnar come arma ostile e par che sia lì pronto a ferire,ma diventa la penna con cui scrivo.
Come dirti rimani
Rannicchiata a cucchiaionel catino settembrinot’offrivi al sole che indorae già ti vedevi signorain terre d’inverno soffuse.Le ciglia socchiuse fingevan torporese t’adombravo stranita, da dubbi serrataper quel segnale di svolta alla vitaposto all’angolo della speranza umiliata.Mine vaganti il malessere acceso,lo sguardo truce, il volto teso…Come dirti : rimani, per te sarà diverso,se su terso orizzonte lo sguardo non si posa?E tu m’apparivi radiosa non appenadel centellinato domani coglievila frizzante vena!Altra sconfitta sei di questa terrache nessuno impiotae forte le radici più non serra.
Di nuovo il pèriplo del giorno… Brillanta il mare la luna senz’alcovae briosa scova, tra barriere e scogli, l’eterno anfanare dell’onda ramingache si gonfia, qual spumosa meringa,s’immerletta e al lido mira, voluttuosa :fremente vi si adagia, amante e sposa.Nel cilindro del Mago,mai pago d’illusioni e giochi,scocca l’eterna scintilla e luce spilla.Su stelle disseminate a spaglio,s’apre a ventaglio l’albae il vascello prende l’abbrìvodalla dàrsena che ogni volta l’inghiottenello spasmo vivo della notte.Di nuovo il pèriplo del giornoallo storno delle ore si spingema più non è sfinge l’orienteal tuo occhio fremente che il cielo indaga e l’onda spia. Tutto t’appare come vuoi che sias’eppur il vento spazia e la vela strazia:è tempo di sirene ammaliatricima ciò che nel tuo dir mi dici, oh figlia, io lo comprendo e svendo ogni altro sogno accarezzato per esser onda che docile assecondae nel proceder suo rifugge il fato.
Il primo ritorno
Ha l’aria stranita questo primo ritornodal sorriso appena accennatoa un passato che già sperava risolto.Tutto invece è rimasto immutato,al di là degli sguardi lo sentie forse menti nel dirti contenta.Sgomenta nell’abbraccio ti stringo e t’allaccio all’ansia che aspetta.Poi mi parli della stretta che al cuoret’ha preso nel chiudere casae t’accendi per le scale discese,t’illumini tra le strade percorsee forse …hai voglia già di riandare!M’incanto nel vederti vestitadella nuova vita che ti possiede, e ogni remora cede alla struggente carezza tua d’onda che incontra la sponda e rifluisce al mare.E di spuma leggera inseguo la fuga sul bagnasciuga che la risacca accogliee sotto mentite spoglie l’onda trafuga.
Ladre d’azzurro
Trama grigia ordisce l’orache in valigia ti pone il mondo,altro ignora e manda a fondo.Non me, che da incauta consiglieraad altri lidi t’ho sospintaperché s’accendesse la serache spenta t’accoglieva e vinta.Sapevo d’altre strade, ospitali,dove t’è dato aver per quel che valie scorza d’arancia bruciavoqual forza che sprigiona essenza:la respiravi tu e io ne facevo senza.E siam cresciute insieme,entrambe seme di libertà reclusa,figlia e madre, ladre d’azzurrodietro una porta chiusa.
Ma lascia che io…
Mi annunci che ad Aachen è primavera e mi ritorni in mente prigioniera del profumo di una primulacon tra le mani il prodigioso evento.Qui non s’è spento il grido dell’inverno e la vecchia camelia sanguina nel viale, macchie rosse allarga che fa male,ma ad abbraccio il peso la protende.Il gazebo è lì che rende voci,stipate tra le sedie dell’estatee la fontana allunga la sua gocciaalla boccia per cantarle in gola.I ciliegi si stiracchiano nel ventoe nel fermento del risveglio antico, l’uccellìo diffuso si fa amico del pesante terreno appena smosso.Il roseto è solo spine e foglie ,ma altri colori gli stanno addossoed è una stretta d’iride superbache si districa tra la fresca erba.Il cane indolente sonnecchia e finge o davvero non sente i merli intorno alla secchia.Ma di che parlo? Son cose che già sai e di certo ne sorridi, ma lascia che io le scriva e le riscrivain versi che mi fan sentire viva.
Mappa
Dal fondo dell’orto a oriente,dal punto che ancora non mente,procedi col passo tuo lestose vuoi conservare nel cesto d’ogni frutto la calda freschezza.Verso il sud l’andante poi girae allunga lo sguardo che mira al di là del recinto - agòneinondato dal sole padrone .E procedi verso occidente, lungo il ciglio da cui tutto si sentee c’è il noce con la croce scavataa segnare quell’ultima annata. Infine a nord qualche passocol giorno che stima l’incassomentre la luce ancora si ribellaa rinchiudersi in umida cella.
Nell’ora del giorno posto in fuga…
Or che la fiamma più non brucia il freddoe imbrattato è sol di cenere il camino,mi scopro mendìca in cerca di un gradino dove sbrogliar matasse di pensieri.Nell’ora del giorno posto in fuga echi preziosi ho da rinvenire,messi a tacere tra riposte pieghe,ansiosi di farsi risentire. La luna scioglie il buio che l’allacciae m’accoglie in un angolo di luce:s’affaccia subitaneo l’irrisoltoche tra punti di domanda mi conduce. Ho molto da passare al vaglio,su cui sostare o da buttar per sbaglioo d’accender qual cero che alimentala fiamma d’ogni sopita conoscenza.Aspetto che la veglia poi collassi tra gli assordanti passi, sotto il gravoso peso…Al limite si spinge il cuor che ben ha inteso, del battito proteso al vuoto amico,ma gonfio è del rumor del giorno implosoe al sonno ho mano tesa da mendìco.
Nulla sarà più come prima
S’è spezzato il filo delle oreteso nello spasmo del congedoe ora siedo, invisa, tra coralli impazziti di libertà improvvisa.Schernisce, il tintinnante rimbalzo,il mio abbandono spogliato e scalzo,suggerendo consueti richiami,approntando ritorni abituali,ferendo a strali l’ombra amica della lampada antica.Nulla sarà più come primaora che in cima ai miei pensieric’è tanta assenza: vacillerò storditae sol di parvenza serena andrò vestita.
Occhi nuovi
Un disco amaranto cerchia il tramontotracciando confini di fuoco col ciel che di poco si tiene da canto.E’ luce che muore incendiata e gronda sulla notte bistrata.Lascio che i polverosi specchiin trappola sian presi , fustigati e accesi per quanto son vecchi,e occhi nuovi avrò da spalancare. Vedrò le nudità del cielosenza velo, riflesse nel mare,e l’abisso che ingoia e annulladiventar culla imbottita di piume.Il fiume sarà il viaggio che ho sognato con la foce lontana mille migliae non il breve battito di cigliache m’ ingabbia tra l’oggi e il domani.I ritagli tra i rami del tempo vestiranno d’arazzo la parete e annegherò la sete che divorain trasparenza che dalla polla affiora.Le vecchie parole stropicciate e tritevedrò ferite dal pendolo che oscillae la Sibilla mi chiamerà per nome senza foglie per il quando e il come.Occhi nuovi per varcar le soglie di case chiuse e gente silenziosa e la mia soglia, fra le tante,senz’esser ladra né brigante.
Qui la neve è turbinio d’aprile
Appena il tempo di riveder le sposepretenziose e altere nell’ostentar la chioma riordinata,che già la scanzonata primaverasi fa severa e scioglie in fiocchiil bianco dirompente dei ciliegi.Qui la neve è turbinio d’aprile,volteggio ballerino che rapisce tra rovesci e raggio ignudo e scalzoche di rimbalzo ferisce ogni magia.E’ neve che avvizzisce e si scolorasul porfido in macchie di sconcerto nel tempo incerto del novello sciame assetato di polline e d’amore.E ora è il verde tenero che premea guadagnar la strada sopra il ramoe sicuro di rinnovata spemeinfiora la trama d’un ricamo.Tra i petali tenaci spazia il vento,da vincitore sosta tra le fogliee se ride nel lasciarle spoglie con palpitanti frutti le consola. Vuota l’aria del turbinio d’apriles’accascia in abbandono sul mio sguardocol dono d’un passero preoccupatodi tagliar, oltre i ciliegi, un suo traguardo.
Sarò tua piuma
Sbriciolo aromi secchi sul volo ferito da ingannevoli specchi:gli è dato aleggiare,ma alto non può più mirare.Poco importa:con falcate d’ali acerbe a superbe conquiste tu mirie del cielo respiri l’aria più vera.Palpito di sole, strale di luna, a una a una saran tue le mete se sosterai prudente,pavida di fame e seteche come lame possono ferire. Batte l’aria il volo e léggi infrange:è soffio di terra che il cielo sfiora,squarcio d’alba, bacio d’aurora,voce incalzante che s’empie di luce. Per te scruterò la nube bianca e il mite vento che l’affianca e l’abbisciato pensiero che finge quiete sul tuo sentiero. Sarò tua piuma, la più vicina al cuore, la prima a vibrar d’ebbrezza,la prima a sentir dolore.
Son buoni semi,le ore…
0049…Pronto…buongiorno…tutto bene?T’inseguo con la voce e tu sorridi.-Ma che vuoi? Sempre lì a spiarmi?-E’ vero, ti spio, e nel pensiero miotutto di te mi fingo e lo sguardo spingoa dissolvere distanze.Con te mi muovo per le calde stanze,a rassettare con aria compunta:è uno spettacolo la trapunta con gli orsi,tra i ghiacci distesi. Son già cinque mesiche vivi lontano, ma ancora ti cerco la mano!Sistemi la tovaglia: è un pratoche sbaraglia col colore l’aria grigiae fiducioso attende il volo di farfalle adagiato sulle tende. E’ tutto così tuo qui dentro che ti ravvedo in ogni cosa:galleggia la rosa di cera sull’acqua inchiostrata tra petali fintie sembran dipinti i fiori di cartatutt’uno col bricco di latta.Solo l’orologio alla parete ti butta la rete,ma più non lo temi:son buoni semi le ore che ti cantano in golae saran germogli nel freddo che s’invola.
Tranquilla…
Tranquilla: non piango né ho pianto.Rappreso s’è il fangoin crosta di terra feconda.Sorrido alla sponda a cui miri e se dietro ti giri dubbiosa,d’ogni cosa il profilo migliore vedrai, perché ovunque tu vada,l’amarezza più non trovi strada.Sia di certezza per te respiroil nuovo idioma dall’incedere duro che di tanto futuro fa incetta. Vita negletta per te non voglio né insana sosta dinanzi a scoglio,ma sogni schiodati da chiusi orizzonti e sere investite da rùtili tramonti.
Tu, Emanuela ed io
Luna piena ingioiella la nottee a frotte i pensieri s’affollano al balconea bere l’emozione che il cielo mesce.E lievita e cresce una briciola di storianella madia della memoriaal solo tepore d’un riflesso di sole. Mite e chiara l’ora incoltaa briglia sciolta scalpitava ciarlieranella tarda sera d’estatetra mele avvelenate e scarpine perse.Tavole incantate imbandivoper bocche golose di favolee farcivo le fiabe con fate e principesse, ma promesse strappavate d’altre ancora e scaltre fingevate di dormire. Era tutto un fiorire di parolesulle aiuole dischiuse alla frescura,con la paura foriera di scompigliotra le piantine sull’erboso ciglio.L’occhio tradito dal colore smarritos’appellava al ricordo del giornoaffidando al muro di cintal’illusione perché fosse vinta.E vi prendevo al sonno a tradimentotra sfinimento e dondolio di gambeed entrambe ormai addormentateaffidavo al mondo delle fate.Immane concerto d’emozioni dall’alto del podio la luna dirigee strumento accordato mi sentocon l’intimo pulsare del firmamento.
Un giorno smemorato è ciò che bramo,di quelli che si pongono a guancialeper dare vita senza fare malee a pensieri sereni far richiamo.Giorno senz’angoli da scantonarené tempi dolorosi da scandire,senza lembi slabbrati da cucire,privo di fondali da scandagliare.Un giorno da vestire al presente con la camicia fresca di bucatosopra un cuore appena rinato,da mandare bambino tra la gente.
Anche per te, il sole che tradisce...
Ti penso sempre, e come non potrei?!Ultima goccia sei d’un pianto antico di madri su basalto d’angusto vico, disperato al mutar delle stagioni. E s’è nutrito di rabbia e di dolore per quanto non s’è potuto daretra campi di miserie e d’abbandonotra strade ancor oggi da illuminare.Vestiva stracci neri d’un lutto bianco per lo stanco trascinarsi dell’attesatra grani seminati in terra e in chiesa,tra sfacelo di forze e di speranze.E quelle vite partite coi cartonia giorni buoni guardavan di sottecchitimorose dell’infrangersi di specchitenuti insieme da cinghie d’illusioni.Quali tristezze ha visto questo soleche freddo e nebbia ha dato in pasto ai sogni:tardi ritorni tra vicoli desertie ancora tempi incerti di partenzetra sentenze disperate e amare.Anche per te il sole che tradisceha fatto fiorire sogni di cristallo,t’ha posto ai piedi pattini d’argentoper avanzar spedita sulla neve.Figlia d’un tempo sei che altre parolepronuncia per chiamare a sé il futuroe nell’immutato rimasto pianto anticoda madre, ch’ altro non può, ti benedico.
Arcobaleni spenti ha l’orizzonte…
Ho tanto da imparare ancorae mi spaventa quanto crudele sia lo stare attenta a ciò che intornopreme e mi confonde ,tanto son lontane le opposte sponde e nel mezzo la corrente che trascina. Percorro la mia strada aperta al mondo investita dalla gamma dei colori,da disparati idiomi, antichi e nuovi,e in tutto ravviso il buono che avvicina.Ma spesso il cielo si rabbuia e piange lacrime di fuoco per occhi di sgomentoe il lamento dell’orfano straziatotortura la fame del diseredato.Arcobaleni spenti ha l’orizzonte e sulla linea che ci accoglie ignarabasta un sottile filo di voce amaraa trapassar di spada la speranza.Nell’angolo che il sole ignora,s’annida timoroso il sogno del raggio che bruciando lo consuma,ma pallido non cresce ed è la brumache l’assottiglia e ne fa utopia.Il coraggio è di coltivare i sogni tra fiori disdegnanti la paura che si ritemprano all’ombra della lunae muoiono fieri, da macchie di coloreintrise dell’essenza che profuma.