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La vera rivoluzione delle donne..in ricordo
LE RAGAZZE DELLE BAND SI LIBERAVANO SESSUALMENTE MA LE FEMMINISTE LE CHIAMAVANO PUTTANE SOTTOMESSE, I MUSICISTI INVECE SCRIVEVANO CANZONI PER LORO
Secondo il fotografo Baron Wolman non erano mezze nude per ottenere le attenzioni degli uomini, si agghindavano per mettere in piedi uno spettacolo. Erano creative. Venivano scelte ma sceglievano anche i musicisti. Prestigio reciproco, attraverso il sesso. Furono loro, unendo il bohemien, il bordello chic e il pizzo vittoriano, a creare il look rock vintage...
Jim Farber per “New York Times”
I fotografi culturali cercano di catturare immagini che altri non colgono, ma anche quando ci riescono, la gente non capisce il loro lavoro. Prendiamo il caso degli scatti di Baron Wolman alle groupie nel 1969. Messe in copertina su “Rolling Stone” (all’epoca una rivista novellina), hanno fatto indignare i lettori non abituati alle innovazioni sessuali della controcultura. Tutti i giornali ne parlarono, commentarono, giudicarono. Il termine “groupie” non si era mai sentito prima, circolava semmai in qualche club del Village.
I ritratti di Wolman però avevano altri intenti, racconta lui stesso: «Notai subito che queste ragazze erano incredibilmente creative. Passavano molto tempo a ideare il loro abbigliamento, mischiavano abiti moderni e quelli trovati nei negozi vintage, per creare una visione. Non erano mezze nude per ottenere le attenzioni degli uomini, si agghindavano per mettere in piedi uno spettacolo».
Le vedeva insomma come icone di moda, fondatrici di una sottocultura dello chic, pioniere della frivolezza hippie, e a ragione. Lo dimostra il suo libro “Groupies and Other Electric Ladies”, che raccoglie le migliori immagini e le mette in un contesto moderno. Spiega lo stilista Phillip Bloch: «Era tutto piume e fronzoli, capriccio e colore. Indossavano una maglia vittoriana e gli stivali, oppure pantaloni di velluto e scarpe da maschio. Mischiando le cose, infrangevano le regole». Furono loro, a forza di mettere insieme il bohemien anni venti, il bordello chic e il pizzo vittoriano, a creare il look rock vintage.
Wolman era convinto che il “caso groupie” sarebbe esploso e la sua rivista pagò 7.000 dollari per una pubblicità a tutta pagina sul “New York Times”, per annunciare lo speciale. Lo slogan era: «Se ti dicessi chi è una groupie, capiresti davvero?», a far intendere: non lo sai ma lo capirai se leggi il prossimo “Rolling Stone”.
Tra le groupie più famose c’era Sally Mann, oggi avvocato in Texas. All’epoca viveva nella casa dei Jefferson Airplane e aveva una relazione con il batterista Spencer Dryden. Trixie Merkin, non era esattamente groupie ma “una delle ragazze” citate in copertina. Era bassista del gruppo Anonymous Artists of America e membro della comune di Ken Kesey: Si fece fotografare in topless e fu una sua idea. Dice Richard Goldstein, forse il primo critico rock: «Le groupie aveva prestigio. Erano scelte ma sceglievano anche i musicisti. Prestigio reciproco, attraverso il sesso».
Nel 1987 Pamela Des Barres pubblicò la sua autobiografia “I’m With the Band”, confessioni di una groupie, dove si raccontava una storia non tutta rosa e fiori: «Ero ritenuta una puttana sottomessa, soprattutto dalle altre donne. Eppure facevo quello che volevo, non era una cosa una femminista? Le donne venivano da me e mi chiedevano come potessi degradarmi in quel modo e io rispondevo che mi dispiaceva, se io avevo dormito con Mick Jagger e loro no».
L’atteggiamento verso la categoria è poi cambiato nel 2000, quando Cameron Crowe fece il film “Quasi Famosi”, con Kate Hudson nella parte di Penny Lane. Le groupie esistono ancora ma non sembrano avere la stessa influenza di allora.
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