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Romeo e Giulietta di William Shakespeare adattamento e traduzione di Francesco Niccolini
Sabato 21 e domenica 22 febbraio 2015
Napoli, Teatro Nuovo
Factory, Terrammare Teatro, Teatri Abitati
presentano
Romeo e Giulietta
di William Shakespeare
adattamento e traduzione di Francesco Niccolini
personaggi e interpreti
Romeo, Fabio Tinella
Giulietta, Angela De Gaetano
Padre Capuleti/Speziale, Ippolito Chiarello
Madre Capuleti/Padre Montecchi, Lea Barletti
Balia di Giulietta/Principe di Verona, Dario Cadei
Mercuzio/Paride, Luca Pastore
Tebaldo/Frate Lorenzo, Filippo Paolasini
scenografie Roberta Dori Puddu
realizzazione scene L.C.D.C. luminarie Cesario De Cagna
costumi Lapi Lou
luci Davide Arsenio
assistente alla regia Paola Leone
regia Tonio De Nitto
Durata 105’ circa, senza intervallo
Romeo e Giulietta è chiedersi quanto i genitori amino veramente i figli, quanto possano capirli, quanto invece non imparino a farlo troppo tardi.
Romeo e Giulietta è un gruppo di famiglia sbiadito e accartocciato dal tempo, una foto che ritrova vigore e carne per poi consumarsi e scolorirsi di nuovo.
Romeo e Giulietta sono le morti innocenti, i desideri irrealizzati e la capacità di sognare che non può esserci tolta.
Romeo e Giulietta è un meccanismo perfetto, un ingranaggio linguistico e scenico che va avanti nonostante essi stessi, dal quale però ad un certo punto può succedere di voler scendere e in qualche modo di farlo veramente, costi quel che costi.
Romeo e Giulietta, sono due adolescenti di una comitiva che si cancella per sempre nel tempo di un paio di giorni.
Romeo e Giulietta sono il vuoto lasciato, il segno della tragedia che ha sconvolto una comunità e che non sarà mai rimosso.
Romeo e Giulietta sono i sette interpreti impegnati con tripli salti mortali in doppi ruoli diametralmente opposti l’uno all’altro.
Romeo e Giulietta, perché scriverne un'altra versione
Tutto ebbe inizio vent'anni fa. Andai a vedere le prove di uno spettacolo di Teatro Settimo, La storia di Romeo e Giulietta. Fino ad allora mi era sembrata la tragedia più melensa di Shakespeare, ma cambiai idea. Negli anni seguenti credo di aver rivisto quell'edizione molte volte e di non aver più smesso di commuovermi. Non tanto per la dolorosa storia d'amore di quei due ragazzini ma per quei cinque cadaveri adolescenti che occupano la scena alla fine di tutto: cinque cadaveri e nessun motivo valido per morire, farsi uccidere o, peggio, darsi la morte.
Con gli anni credo che "Romeo e Giulietta" sia lo spettacolo di cui ho visto più versioni, qualcuna davvero indimenticabile. Quando Tonio De Nitto mi ha proposto di adattare alla sua compagnia quel testo, mi è venuta un'idea al limite dell'incoscienza: non accontentarmi di adattare una traduzione esistente, ma ritradurre in rima, così come nell'originale shakespeariano.
All'inizio credevo di morire. I primi versi un'autentica tortura. Ma piano piano la mente si abitua ai nuovi ritmi e le dita corrono sui versi, sulle rime, sui giochi di parola. Più un'intuizione di Tonio: scrivere i dialoghi dei due innamorati non in rima, ma nella prosa più semplice e piana possibile. Una grandissima idea, perché l'amore che ti fulmina non ha bisogno delle regole e delle forme che servono per relazionarsi con il mondo, soprattutto quel mondo ostile e vigliacco nel quale prevalgono violenza e arroganza.
Tutto è gioco, tutto è capriccio, il ritmo e il tono scherzosi, la storia spesso comica, fino a prova contraria, fino al sangue versato, fino a un padre che dà della puttana alla figlia, fino alla morte dei compagni di gioco, fino al rimpianto più feroce e alla colpa. Come nel più classico dei casi da tragedia, la colpa dei padri, che – come scrive Pasolini – deve essere gravissima per meritare una così atroce punizione.
Ed è questo il motivo per cui amo tanto "Romeo e Giulietta": perché racconta la colpa più grave in assoluto di cui noi essere umani ci macchiamo e subiamo allo stesso tempo, la soppressione dell'infanzia e dell'adolescenza. Una soppressione che tutti piangono, perché tutti siamo stati ragazzi e poi tutto è finito. Lavorare, parola dopo parola, verso dopo verso, al "Romeo e Giulietta" di William Shakespeare mi sembra il più bel modo per invecchiare senza perdere di vista l’importanza della giovinezza: la propria, quella dei genitori, e degli adulti che un giorno saremo: non c’è niente da fare, ci ricorda Shakespeare, la giovinezza morirà per tutti. A noi trovare un modo, un miracolo, perché non muoia. Allora impariamo le parole d’amore di Romeo e quelle di Giulietta, impariamole a memoria, par coeur, come dicono i francesi, ché è più bello.
Francesco Niccolini
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