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PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA LE IMMAGINE BOMBASTICHE DEL FOTOGRAFO BERLINESE SVEN MARQUARDT
Götterdämmerung (la caduta degli dei), il titolo della mostra rimanda al binomio Wagner Visconti e immerge in un universo decadente popolato di punk Anni 80, simbologie cristiane più o meno irrise buttafuori e teste rasate e tatuaggi a tutta schiena...
Rocco Moliterni per "La Stampa"
Götterdämmerung (Il crepuscolo o la caduta degli dei), il titolo della mostra del fotografo Sven Marquardt, rimanda al binomio Wagner Visconti e immerge in un universo decadente popolato di punk Anni 80, simbologie cristiane più o meno irrise (talora nella pubblicità di una marca di jeans e qui vien da dire che il nostro Oliviero Toscani lo faceva già quarant’anni fa), buttafuori e dj, teste rasate e tatuaggi a tutta schiena.
Le immagini del cinquantaduenne autore berlinese sono in vetrina per la prima volta in Italia nelle sale di Palazzo Saluzzo Paesana e nelle cripte del cimitero sconsacrato di San Pietro in Vincoli, a cura di Enrico Debandi e Eugenio Viola.
La caduta cui allude il titolo non è quella di una famiglia borghese all’avvento del nazismo, di viscontiana memoria, ma il crollo del regime comunista, cui Marquardt assiste nella Berlino Est dove vive e lavora. Come nota giustamente Eugenio Viola in catalogo non c’è però nelle sue immagini nessuna ostalgie (quel sentimento di nostalgia verso gli anni del comunismo che attraversa una parte della cultura berlinese).
Nelle sue fotografie, che coprono, pur con qualche interruzione, l’arco di tempo dagli Anni 80 ad oggi, si intravede durezza e un’ossessiva attenzione al dato formale tale da farlo cadere nel manierismo.
Pur lavorando all’epoca in un Paese dell’Est, pur essendo un esponente di una cultura alternativa e messa al bando, Marquardt nasce come fotografo di moda e questa categoria dello spirito fotografico si direbbe gli rimanga nle bene e nel male cucita addosso.
Più che Nan Goldin (li accomuna la poetica dei personaggi border line, travestiti, tossicodipendenti), Mapplethorpe sembra il punto di riferimento più azzeccato («Mi ha influenzato senz’altro, ma io ero già fotografo quando ho visto per la prima volta un suo libro»).
Per le provocazioni sui simboli del cristianesimo viene invece da pensare a Serrano: Marquardt riprende donne nude e tatuate su un letto dove c’è un crocifisso, sacerdoti che iniettano eroina a giovani tossicodipendenti, e così via. C’è anche un trittico con al centro un Cristo e ai lati due rottweiler.
Marquardt usa solo il bianco e nero: «Tutto nella mia memoria è in bianco e nero. Credo di non essermi mai posto la questione di fotografare a colori». Molti lavori sono ambientati all’interno di cimiteri il che rende San Pietro in vincoli il luogo ideale per le immagini più legate al tema della morte e dell’oscurità.
Nelle sale di Palazzo Paesana è invece allestita una sorta di quadreria, dove in dialogo con lo spazio campeggiano tra gli altri i ritratti della serie dedicata ai buttafuori e ai dj del Berghain,«mitico» locale punto di riferimento per la cultura off berlinese. Se le foto di Marquardt non sempre riescono a evitare quel senso di «costruito» che finisce per non far scattare la molla dell’emozione in chi le guarda, il gioco di rimandi tra le sue immagini e i luoghi che le ospitano funziona invece a meraviglia.
SONO VERMEER, FRIDA KAHLO E KLIMT GLI AUTORI CHE HANNO SBANCATO I BOTTEGHINI DELLE MOSTRE NEL 2014 - VENDUTO DA CHRISTIE’S PER 3 MILIONI: “MA IL LETTO DI TRACEY EMIN È UN FALSO”
‘’My bed’’ è sempre stato descritto da Tracey Emin, come il giaciglio in cui trascorse quattro giorni e quattro notti disperate, dopo essere stata lasciata dal proprio partner. Ma per il professor Martin Kemp si tratta di una fabbricazione artistica…
1. FU VENDUTO DA CHRISTIE’S PER 3 MILIONI “MA IL LETTO DI TRACEY EMIN È UN FALSO”
E.F. per “la Repubblica”
Il letto sfatto più famoso e più caro del mondo potrebbe essere un falso. Venduto all’asta sei mesi fa da Christie’s per 2 milioni e mezzo di sterline (3 milioni di euro), My bed è sempre stato descritto dalla sua creatrice, l’artista concettuale Tracey Emin, come il giaciglio in cui trascorse quattro giorni e quattro notti disperate, dopo essere stata lasciata dal proprio partner, come testimoniano i profilattici usati, gli avanzi di cibo e i resti di alcol sparsi fra le coperte.
Ma il professor Martin Kemp, docente di storia dell’arte a Oxford e uno dei massimi esperti di Leonardo da Vinci, ha studiato meticolosamente l’opera concludendo che si tratta di una fabbricazione artistica, non del letto in cui effettivamente dormì Emin. Non ci sono segni di un corpo su cuscini e lenzuola, i rifiuti sono disseminati in posizioni diverse ogni volta che il letto viene esposto in pubblico e non fanno “cattivo odore”, dice lo studioso al Sunday Times.
2. SPETTA A VERMEER IL RECORD DI PRESENZE SEGUONO FRIDA KAHLO E GUSTAV KLIMT
Da “la Repubblica”
Sono Vermeer, Frida Kahlo e Klimt gli autori che hanno sbancato i botteghini delle mostre nel 2014. Ma soprattutto Vermeer, la cui Ragazza con l’orecchino di perla, insieme agli altri capolavori custoditi al Mauritshuis de L’Aja, ha collezionato 342.626 visitatori nel bolognese Palazzo Fava.
Al secondo posto si colloca la rassegna dedicata a Frida Kahlo alle Scuderie del Quirinale, a Roma, che ha accolto 332.000 presenze (alto consenso riscuote anche l’edizione genovese della mostra, aperta fino all’8 febbraio). Al terzo posto, con 250.632 visitatori, ecco «Klimt. Alle origini di un mito», ospitata a Palazzo Reale di Milano. Al quarto posto con 228.000 visitatori si piazza «Fundamentals», la mostra della Biennale Architettura di Venezia.
L’ANNO DELLE DRAG-ONE - VIAGGIO FOTOGRAFICO FRA LE “DRAG QUEEN” CINESI, CHE SI DIVIDONO FRA ARTE OPERISTICA, FINTI MATRIMONI, E PROSTITUZIONE - ALCUNE SONO EX SOLDATI COMUNISTI
Nonostante la cultura teatrale del “cross-dressing”, la Cina non è certo nota per le sue ampie vedute sulla sessualità. Il progetto “I and I” di Tomoko Kikuchi va avanti da dieci anni e non racconta solo la storia di “drag queen” che si confrontano con la società circostante, ma di persone che fanno i conti con se stesse...
da http://lens.blogs.nytimes.com
Nonostante la cultura teatrale del “cross-dressing”, la Cina non è certo nota per le sue ampie vedute sulla sessualità. Il progetto “I and I” di Tomoko Kikuchi va avanti da dieci anni e non racconta solo la storia di “drag queen” che si confrontano con la società circostante, ma di persone che fanno i conti con se stesse. Devono superare i problemi con le famiglie, con l’amore, con il lavoro, ma soprattutto devono accettarsi. La situazione è migliorata rispetto al 2005, e Tomoko ha illustrato questo progresso, dal periodo buio alla liberazione personale.
Meimei, nata con genitali ambigui, è stata cresciuta come un ragazzo. Ha bene accolto l’iniziativa della fotografa, che ha invece avuto difficoltà con altre “drag”, diffidenti in quanto lei era giapponese ed eterosessuale. Sono passati anni prima di conquistare la loro fiducia. Molte delle donne che Tomoko ha ritratto sono fuggite dalla Cina rurale per raggiungere Pechino, dove avrebbero potuto vivere senza affrontare il chiacchiericcio del villaggio. Ma la vita di città non era affatto facile, significava uscire allo scoperto quando il sole era tramontato, per infilarsi in qualche club underground. La competizione per trovare lavoro era così sfrenata, che molte si sono dovute mantenere con la prostituzione, condividendo appartamenti economici e angusti.
La Kikuchi ha testimoniato diversi cambiamenti nel tempo: «La percezione della sessualità oggi è diversa, c’è più consapevolezza e una grande mano l’ha data la tecnologia. Ciò che non può essere pubblicato ufficialmente, finisce on line, dove si scopre che esistono altri modi di esprimere la propria sessualità. Le persone si connettono e si scambiano esperienze sui social network».
Nel 2008 la Kikuchi ha seguito delle drag ventenni a Chongqing, una realtà completamente diversa dal nord. Qui le drag non si nascondono, indossano vestiti da donna ed escono di pomeriggio. I nati negli anni Ottanta, in genere, hanno nozioni più fluide sulla sessualità, hanno più sicurezza di sé.
Le drag di Xi-an sono molto diverse dalle altre, la loro arte deriva dall’opera tradizionale cinese. Lala invece è una vecchia drag che si esibisce ai compleanni e ai funerali. Porta i segni del suo tentato suicidio, profonde cicatrici da taglio sul collo. Anna è immortalata durante il suo finto matrimonio, vestita da maschio. Per le drag di campagna è normale inscenare un matrimonio con una lesbica. Pandra ha 50 anni e appartiene alla prima generazione di drag, faceva parte delle truppe comuniste negli anni ‘70 e aprì il primo gay bar di Chongqing negli anni ‘80.
RITORNANO GLI CHIC, QUANDO LA DISCO, A COLPI DI FUNK, INVENTÒ IL RAP E CAMBIÒ IL POP E INFLUENZÒ IL ROCK - IL FONDATORE NILE RODGERS ANNUNCIA IL PRIMO DISCO DOPO 22 ANNI
Quindi il 20 marzo uscirà un disco che sfrutta la collaborazione di David Guetta e Avicii mescolando nuove canzoni con materiale rielaborato come il primo singolo I'll be there. Alla fine il ritorno degli Chic sarà uno degli eventi perché i grandi suoni del passato devono solo aspettare il momento giusto per sembrare nuovi un'altra volta. Come ora….
Paolo Giordano per "il Giornale"
Tornano senza essersene mai andati via. L'altro giorno Nile Rodgers ha confermato: «A marzo gli Chic pubblicheranno un nuovo disco». Il primo dopo 23 anni ( Chic-Ism è del 1992). Uno degli album più attesi di sempre. Intanto però bisogna spiegare chi sono gli Chic anche se tutti, proprio tutti, hanno ascoltato una loro canzone almeno una volta nella vita. Prendete Le freak con quel ritornello acchiappatutto «Ahhh, freak out! Le freak, c'est chic»: dal 1978 colonizza le discoteche a ogni latitudine, non c'è scampo.
Dunque gli Chic si sono formati a New York nel 1976 grazie a tre numeri uno: Nile Rodgers che, se avesse brevettato il suo personalissimo modo funk di suonare la chitarra, sarebbe ancora più ricco di quel che è. Bernard Edwards, uno dei bassisti più carismatici di sempre, morto in un albergo di Tokyo nel 1996.
E Tony Thompson, ex batterista delle Labelle, anche lui ormai «passed away» visto che se ne è andato nel 2003. Per dare un quadro ancor più macabro, non c'è più neppure Luther Vandross, che prima di vendere 25 milioni di copie da solista e vincere otto Grammy Awards, era stato corista nei primi dischi.
Una band segnata dal destino.
Però, con i primi dischi, diciamo quelli dal 1977 al 1979, gli Chic hanno dato struttura e dignità alla neonata dance perché non erano ragazzetti sprovveduti, anzi. E poi sono rimasti fondamentali nella musica pop anche quando la band si è dissolta a metà anni Ottanta.
Giusto per fare qualche esempio, nel 1980 Rodgers ha prodotto Diana di Diana Ross con il favoloso singolo Upside down e poi Let's dance di David Bowie nel 1983, ha suonato con Edwards e Thompson in Like a virgin di Madonna e infine nel 1986 ha prodotto Notorius dei Duran Duran con John Taylor che durante le registrazioni pretese di suonare lo stesso basso che Edwards aveva usato per registrare i dischi degli Chic.
Insomma, un gruppo che ha cambiato la storia, e poche volte si può scrivere la stessa frase senza inciampare nella retorica, anche se dal 1996, dopo il tour in Giappone con Steve Winwood, Simon LeBon, Sister Sledge, Slash, si era dissolto per poi tornare qui e là con altri musicisti giusto per fare qualche concerto. Dopotutto l'invasione del rap e il cambio generazionale li aveva quasi trasformati in un simbolo vintage (il ritornello originale di Le freak era «ah fuck off», un bel vaffa dedicato a un vigilante che nel 1977 non li fece entrare al concerto di Grace Jones nel famoso Studio 54, roba che a un rapper sembra proprio preistoria). Poi ci hanno pensato i deejay.
Con il ritorno della dance, sono tornati pure gli Chic. L'anno scorso i Daft Punk sono diventati eroi planetari con un suono che è la versione riveduta e (s)corretta degli Chic se non altro perché Nile Rodgers ha contribuito a scrivere e suonare tre brani, compreso il successone Get lucky . Perciò era il momento giusto (e Nile Rodgers, che ha battuto un tumore alla prostata, lo ha dimostrando suonando un concerto a dir poco strepitoso alla Roundhouse di Londra l'anno scorso per l'iTunes Festival).
Quindi il 20 marzo uscirà un disco che sfrutta la collaborazione di David Guetta e Avicii mescolando nuove canzoni con materiale rielaborato come il primo singolo I'll be there , dedicato ai musicisti scomparsi: «Dopo la malattia ho ripensato agli amici che ho perso per dare un senso alla mia musica». Alla fine il ritorno degli Chic sarà uno degli eventi perché - e non si smette mai di capirlo - i grandi suoni del passato devono solo aspettare il momento giusto per sembrare nuovi un'altra volta. Come ora.
“BIG EYES” - QUANDO L’ARTE CHIUDEVA LE PORTE DELLE GALLERIE ALLE DONNE E MARGARET KEANE FU COSTRETTA A CEDERE L'INTERA SUA PRODUZIONE AL MARITO CHE CI COSTRUÌ SOPRA UN MEGA BUSINESS – UN FILM DI TIM BURTON
Negli anni Cinquanta le donne artiste si contavano sulle dita di una mano anche in America. La scultrice Louise Bourgeois dovette attendere decenni prima di mostrare le proprie opere. Lee Krasner, moglie di Jackson Pollock, fu costretta a cambiare il proprio nome Eleanor per non soccombere in un mondo di uomini….
1.
"NEI GRANDI OCCHI DELLA KEANE RIVEDO IL MIO LATO PIÙ OSCURO"
Carlo Bizio per "il Giornale"
Non è una coincidenza che la storia di Big Eyes, centrato sulla bizzarra relazione coniugale e artistica tra Walter e Margaret Keane, abbia inizio nel 1958, l'anno in cui il regista del film Tim Burton è nato. Tra l'autore di ‘’Edward Mani di Forbice’’, Ed Wood e il più recente Dark Shadows, e la figura di Margaret Keane (Amy Adams nel film) - e le sue figure, quei bambini ritratti con enormi occhi melanconici, spaventati, con un che di alieno - c'è sempre stata un'affinità elettiva. «Ricordo i suoi quadri quando ero piccolo, quei ritratti strani erano dappertutto», ricorda Burton in un nostro incontro a Santa Monica. Big Eyes è uscito in America il giorno di Natale.
«Nei primi anni '60 quei lavori erano diventati la più eccelsa rappresentazione del kitsch nell'arte popolare, adorata sia dalla critica che dalle masse: fu la prima volta che l'arte veniva venduta in forma di poster anche nei supermercati. Andy Warhol legittimò la Keane dicendo, con uno dei suoi paradossi tautologici: “Beh, se piace tanto alla gente vuol dire che un valore artistico ci dev'essere... se piace non può essere brutto”».
Il guaio fu che per decenni la firma Keane stava a significare Walter, non Margaret. Lui, non lei. Il film racconta infatti come Walter Keane (Christopher Waltz), abile promotore e innato uomo di marketing fosse riuscito a convincere la moglie Margaret a cedergli il credito dei suoi dipinti, insistendo che ai compratori non interessava «l'arte delle donne», e che se lei si fosse prestata al trucchetto avrebbero fatto soldi a palate.
Così fu (la serie Big Eyes era esposta dovunque, negli anni '60 in Usa), fino a che, una decina d'anni dopo tremende repressioni e frustrazioni, Margaret, dopo aver divorziato dal manipolatore Walter, decide di parlare. Il caso finisce in tribunale. Nonostante il giudice abbia dato ragione a Margaret, Walter ha insistito fino alla sua morte, avvenuta nel 2000, che quei dipinti provenivano davvero dal suo pennello (si sospetta ancora che non sapesse dipingere nulla).
Mister Burton, un film che parla di arte, della casualità del successo artistico ma anche di una relazione umana molto distorta, vero?
«Tutto questo, certo. È una sorta di Invasione degli ultracorpi affettiva, che esamina come una persona si lasci possedere dalle manifestazioni di un'altra. Da una parte c'è il bisogno disperato di Walter di ottenere il successo e l'adorazione per un talento che non ha; dall'altra c'è l'auto-sacrificio di Margaret e una forza interiore che le permette di tacere controvoglia, finché sbotta».
Si identifica con uno dei due o con entrambi?
«Questo è il bello del dare forma a diversi personaggi. Ti identifichi con tutti, anche se te ne vergogni. Ci sono aspetti di Margaret con cui mi riconosco, ma sfortunatamente mi identifico anche con alcuni aspetti di Walter, i peggiori».
Lei ha detto di aver sentito una connessione personale con questa storia. Si spiega?
«Prima di tutto perché, come dicevo, quei ritratti erano dovunque al tempo della mia infanzia a Burbank, in California. Ma ho provato anche un senso di intima familiarità col personaggio di Margaret così com'è stato scritto sulla pagina, comunque fedele alla vera persona. Quando ero bambino parlavo a malapena. Non ero un comunicatore. E mi affascinavano le persone capaci di parlare. Margaret parla poco, mentre Walter è un abile oratore, e da qui sorge la nevrotica dinamica tra i due, un connubio tra opposti. Il caso bizzarro di due persone diverse che diventano una strana cosa singola, una forma di vita ibrida, Keane... Margaret è una personalità non verbale, come me. Non è capace di farsi valere con la parola. Si esprime con le sue tele, lascia che sia la sua arte a parlare per lei. Io funziono allo stesso modo».
Ha conosciuto la vera Margaret Keane?
«Certo. Oggi ha 87 anni, continua a dipingere, è una donna molto discreta, introversa, gentile. Continuo a essere un suo ammiratore. Le abbiamo mostrato il film e le è piaciuto molto, e questo mi rende felice. Ma per una donna schiva come lei ripercorrere tutto quel calvario non dev'esser stato facile. Le ho commissionato un ritratto, e ha dipinto mia moglie (Helena Bonham Carter, si dice si siano separati ndr) e i nostri due figli, tutti con gli occhi enormi, ovviamente, e in maniera un po' inquietante c'è una vaga immagine di me tra le nuvole. Chissà se la Keane ha visto in me qualcosa di Walter, o semplicemente mi vede semplicemente come uno... sempre tra le nuvole».
2.
AMATISSIMA DAL PUBBLICO MA NON DAGLI ADDETTI AI LAVORI. ANDY WARHOL STORCEVA IL NASO
Luca Beatrice per "il Giornale"
Negli anni Cinquanta le donne artiste si contavano sulle dita di una mano anche in America, nonostante la spinta verso il nuovo che così tanto colpi le avanguardie europee. La scultrice Louise Bourgeois dovette attendere decenni prima di mostrare le proprie opere. Lee Krasner, moglie di Jackson Pollock, fu costretta a cambiare il proprio nome Eleanor per non soccombere in un mondo di uomini.
Ma il caso più interessante, almeno dal punto di vista dell'emancipazione femminile, è proprio quello raccontato da Tim Burton nel suo nuovo film Big Eyes: per anni la pittrice Margaret Keane fu costretta a cedere l'intera sua produzione al marito Walter il quale ci costruì sopra un mega business economico, fino a stancarsi del sopruso e ottenere un rimborso milionario dallo stesso coniuge.
Dal punto di vista meramente artistico la Keane rappresenta il tipico esempio di pittore molto popolare, amatissima dal pubblico ma indifferente alla critica e agli addetti ai lavori. E in America di episodi come il suo ce ne sono molti, proprio perché non esiste una tradizione classica cui far riferimento.
Nata nel 1927 a Nashville, Margaret va a vivere a San Francisco negli anni Cinquanta e si sposa per la seconda volta con quello che sarà il suo «aguzzino». Dopo aver risolto i problemi si trasferisce alle Hawaii e ancora oggi continua a dipingere quei tipici ritratti dagli occhioni profondi e intensi che sono diventati il segno distintivo della sua arte. Espone in diversi musei importanti ma non è mai entrata nel giro delle gallerie che contano.
Diversi divi hollywoodiani, da Joan Crawford a Natalie Wood, le hanno commissionato un dipinto e Woody Allen la considera una delle migliori pittrici viventi. Andy Warhol, invece, ha sempre storto il naso di fronte al suo successo, spiegandoselo come un fenomeno popolare di massa.
Aldilà della rilettura quasi mitica che ne da Tim Burton, si può notare oggi l'influenza della Keane sulle nuove generazioni di pittura pop surrealista altrimenti nota come «Low Brow», tipica della west coast americana: un'arte che unisce il fumetto all'illustrazione di matrice folk, a lungo ignorata dal sistema e finalmente diventata un'alternativa alle gallerie newyorkesi grazie al capillare lavoro di riviste e spazi indipendenti.
In particolare la Keane sembra la «mamma» di Marion Peck, raffinata pittrice peraltro sposa del più celebre Mark Ryden, costoso e ricercato anche a Manhattan, ma certamente meno ingombrante e tirannico del cinico Walter, interpretato sul grande schermo dal bravissimo Christopher Waltz.
NEL LIBRO FOTOGRAFICO “TONY’S TOYS” GLI UOMINI SONO PUPAZZI CHE TENTANO DI RAGGIUNGERE LA VETTA-TETTA E LA GROTTA NASCOSTA…
Tony Kelly ha immortalato per la rivista “Treats” Emmy Rossum, Russell Brand, Bruno Mars, Adam Levine, Kate Upton, Justin Bieber, Emily Ratajkowski e tanti altri. Ora ha pubblicato il suo primo libro fotografico, dove la donna giganteggia...
http://treatsmagazine.com
Tony Kelly ha immortalato per la rivista “Treats” Emmy Rossum, Russell Brand, Bruno Mars, Adam Levine, Kate Upton, Justin Bieber, Emily Ratajkowski e tanti altri. Ora ha pubblicato il suo primo libro fotografico intitolato “Tony’s Toys”, dove gli uomini sono ridotti a pupazzi al cospetto di bellissime presenze femminili. La donna giganteggia, è la montagna da scalare, sebbene sempre nei punti più erotici del corpo.
A MILANO UNA BELLA MOSTRA DI GIACOMETTI MA ALL’ESTERO L’ARTISTA SVIZZERO PASSA DI TRIONFO IN TRIONFO: “CHARIOT” A NEW YORK È STATO VENDUTO A CENTO MILIONI $
Per Giacometti la massa non è altro che “un insieme di individui”. “Una volta, in un museo, mi misi a guardare quei visi e tutt’ a un tratto mi colpì la loro straordinaria vivezza e inafferrabilità, tanto diverse dalle opere d’arte che all’improvviso mi sembrarono gelide e morte”…
Marco Bona Castellotti per "Il Foglio"
In un’intervista del 1959 Alberto Giacometti afferma che “il sublime, il mistero, sta proprio nei volti di questi uomini soli”. Tale giudizio corrisponde a un’apertura metafisica che nelle sculture e nei dipinti del grande artista svizzero s’incarna. La sua opera non rientra nella categoria del realismo, almeno sulla base di un codice estetico di stretta osservanza, tuttavia, dopo gli esordi nella sfera del surrealismo (più virtuali che espressivi), e dopo una parentesi d’ispirazione simbolista, egli si concentra nel genere del ritratto, mettendo in primo piano la figura umana; in tal senso è realista.
Denominatore comune della produzione anteriore e successiva al 1950 è la ripresa non sistematica di modelli antichi, dalla statuaria cicladica alla pittura italiana medievale. Da entrambe desume l’allungamento delle figure che traggono la linfa dal loro stesso isolamento, che, a sua volta, ne accresce l’ energia plastico-dinamica.
Nei dipinti la figura è vista sempre di fronte, entro inquadrature rigorosamente geometriche. L’indagine scava nel profondo dei volti e li definisce, mentre i corpi a mezzo busto sono resi con una sorta di abbozzo agitato. L’esecuzione apparentemente febbrile, il color grigio e il bianco, conferiscono alle persone il carattere di un’apparizione. Nulla, però, posseggono di surreale.
Il fatto di essere vive e presenti si coglie ancora meglio nelle sculture, data la tridimensionalità, in ogni particolare pulsante, e la mobilità della materia, bronzo o gesso: una materia ruvida, simile a lava non ancora raffreddata. Si disegna sui volti una componente di arcaismo scarno, che evoca, negli sguardi e negli occhi spalancati, i ritratti di Fayum. “Uomo seduto” o la “Grande testa” possono considerarsi una combinazione somatica di melanconia e asprezza, a metà tra i volti di Fayum e quello di un Boris Karloff rabbonito.
In Giacometti a prevalere non è mai il senso negativo dello svanire del tempo, del fuggire della vita, dell’attimo, bensì quello positivo della coscienza esistenziale dell’uomo che cammina, e, pur nel presente, è continuamente proiettato in avanti. Anche la solitudine non è concepita come fattore negativo, anzi essa collabora a rendere più solida la consistenza umana.
Così la persona difende e custodisce la propria identità, e non le accade mai di cederla all’anonimato di un “tipo”. Per Giacometti la massa non è altro che “un insieme di individui”. “Una volta, in un museo, mi misi a guardare quei visi e tutt’ a un tratto mi colpì la loro straordinaria vivezza e inafferrabilità, tanto diverse dalle opere d’arte che all’improvviso mi sembrarono gelide e morte”.
E’ evidente che egli scruta delle persone la dimensione interiore, e che ciò che vuole “percepire, è la totalità della vita”. Pur consapevole di non poterne svelare i misteri, riesce comunque a farli emergere in volti memorabili. Osserviamo “Diego”, “Caroline”, “Annette”, “Yanaihara”, “Francine”.
I loro ritratti sono esposti in una bella (e un po’ negletta) mostra milanese, allestita nella galleria d’Arte Moderna appena ristrutturata (sino al 1 febbraio 2015). In Italia Giacometti non è particolarmente amato; all’estero passa di trionfo in trionfo, come ne è veridico testimone “Chariot”, scultura di bronzo che rappresenta un carretto molto essenziale: due ruote che paiono infangate e una donna, longilinea come una Meridiana etrusca, che lo guida. “Chariot”, lo scorso novembre, a New York è stato venduto a cento milioni di dollari.
QUANDO ANGELINA ERA DAVVERO JOLIE: 19ENNE IN CARNE CHE FACEVA LE SMORFIE IN TOPLESS, SFOGGIANDO GAMBE DA GAZZELLA E LECCANDO UNA BRACCIALE DA SCHIAVA
Era il 1995 e, sull’orlo della fama e della fortuna, aspettava il suo primo ruolo importante. Angelina Jolie aveva 19 anni in queste foto ritrovate e si capisce che aveva tutte le intenzioni di diventare una star di Hollywood…
da www.dailymail.co.uk
Era il 1995 e, sull’orlo della fama e della fortuna, aspettava il suo primo ruolo importante. Angelina Jolie aveva 19 anni in queste foto ritrovate e si capisce che aveva tutte le intenzioni di diventare una star di Hollywood. Posa in modo seducente a Los Angeles per il fotografo Marcel Indik, si mette in topless contro il muro, sfoggia gambe da gazzella e qualche tatuaggio, fuma da provocatrice, lecca una bracciale da schiava.
L’attrice avrebbe attirato l’attenzione con il film “Hackers”, sul set avrebbe incontrato il suo primo marito Jonny Lee Miller, co-protagonista. A 20 anni di distanza, resta poco della cattiva ragazza in nero qui rappresentata. Oggi la Jolie è madre di sei figli, sposata con Brad Pitt, regista di “Unbroken”, ambasciatrice per varie organizzazioni benefiche.
la jolie posa in abito nero
GRAZIE HACKER! “THE INTERVIEW” DIVENTA IL FILM PIÙ SCARICATO DI SEMPRE: IN 4 GIORNI SULLE PIATTAFORME (LEGALI) DI STREAMING INCASSA 15 MILIONI DI DOLLARI. E ORA I CINEMA TREMANO
L’uscita in poche sale ha portato 2,8 milioni $ di incasso per il grande schermo, e cinque volte tanto su Youtube, Xbox e gli altri servizi on-demand. Ai quali si aggiungono i milioni di download illegali - In Italia, il weekend di Natale lo vincono Aldo Giovanni e Giacomo (4,5 mln), che superano “Lo Hobbit” (4 mln, ma un totale più alto)...
C. M. per “la Repubblica”
Il Natale è di Aldo, Giovanni e Giacomo. Grazie al film Il ricco, il povero e il maggiordomo il trio comico ha fatto registrare l’incasso maggiore del lungo weekend delle feste, dal 25 al 28 dicembre, con 4.505.778 euro (finora il film ha incassato un totale di 9.614.389 euro). Al secondo posto il terzo e conclusivo capitolo della trilogia ispirata al libro di J. R. R. Tolkien, Lo Hobbit: la battaglia delle cinque armate con 4.051.852 euro.
La vera sorpresa del weekend natalizio si è rivelato Un Natale stupefacente , terzo incasso degli ultimi quattro giorni con 3.351.114 euro e un totale di 4.459.421 euro. Il film con Lillo & Greg e con Ambra Angiolini ha superato persino il film della disney Big hero 6, al quarto posto con 3.187.511 euro. Seguono al quinto L'amore bugiardo - Gone girl di David Fincher con 2.666.118 euro e al sesto Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores con 1.981.409 euro.
On line il film The interview, al centro di una controversia politico-diplomatica tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti è diventato il film più scaricato di sempre a quattro giorni dall’uscita natalizia. L’incasso per la Sony attraverso i download è stato di 15 milioni di dollari, scaricato più di due milioni di volte già fino al 27 dicembre. Il film, che racconta un immaginario complotto americano per uccidere il leader Kim Jong-un, era stato ritirato dalle sale in cui era proiettato in anteprima e la sua uscita bloccata.
La Sony è poi tornata sui suoi passi ed ha fatto uscire il film on line e in 331 sale americane dove dal suo debutto di giovedì ha incassato 2.8 milioni di dollari, dei quali 1.8 milioni nel weekend natalizio. Fine settimana che in America ha visto prevalere Lo Hobbit con 41.4 milioni di dollari, seguito da Unbroken con 31.7 milioni e dal musical Disney Into the woods, con 31 milioni.
DALLA METANFETAMINA ALLA FANTASCIENZA - IN PRODUZIONE LO SPIN OFF DI “GUERRE STELLARI”, UN EPISODIO INTERAMENTE DEDICATO A IAN SOLO, INTERPRETATO DAL JESSE PINKMAN DI “BREAKING BAD”
Non è chiaro il ruolo di Aaron Paul, probabilmente sarà lui a riprendere il personaggio originalmente assegnato ad Harrison Ford. Il nome in codice dell’episodio è “Luminac Industrial Goods” e potrebbe coincidere con le riprese di “Guerre Stellari VIII”...
da www.independent.co.uk
Secondo un post apparso sul sito “Making Star Wars”, è in produzione il primo spin off di “Guerre Stellari” che riguarda Ian Solo, forse interpretato da Aaron Paul, il Jesse Pinkman della serie “Breaking Bad”. La fonte dovrebbe essere attendibile, è la stessa che ha diffuso le immagini del set del settimo episodio “Il Risveglio della forza”, previsto al cinema per il 18 dicembre 2015.
Non è chiaro il ruolo di Paul, non si sa ancora se sarà il protagonista e se riprenderà il personaggio originalmente assegnato ad Harrison Ford. Il nome in codice scelto dalla produzione è “Luminac Industrial Goods” e l’episodio, interamente dedicato a questa figura centrale della saga ma dal passato misterioso, potrebbe coincidere con
‘’MADONNA SARÀ ANCHE TANTO CRITICATA MA TUTTE QUESTE MILEY CYRUS VOGLIONO ESSERE LEI O MEGLIO DI LEI - UNA VOLTA HO FATTO FARE PACE A JENNIFER LOPEZ E COURTNEY LOVE. LADY GAGA VORREBBE TANTO... MA MADONNA È MADONNA’’
“Quando morì mio fratello, presi un volo, la notte, per Miami. Quando arrivai ad aspettarmi, nella villa di Gianni, c’era lei, Madonna. Non lo dimenticherò mai. Lei è una diffidente per natura perché ha cominciato da zero e ne ha passate tante. Ma ci siamo intese subito. Fuori dalle sala parto, per Lola e Rocco, ci sono sempre stata”….
Paola Pollo per il “Corriere della Sera”
Fischi e critiche per Madonna e l’amica che fa? La vuole protagonista della campagna. Comunicazione o fratellanza? Bastano cinque minuti di chiacchiere e la risposta va da sé: A-M-I-C-I-Z-I-A. E un pizzico di gelosia, che non guasta mai. I lunghi capelli biondi, gli occhi bistrati e quel corpo esile esile, il lato glam insomma non rende giustizia a Donatella Versace, amica leale e femminista «femminile» convinta: «Cosa sbagliamo? C’è poca solidarietà fra donne: alla fine ognuno guarda sempre e solo a sé. Non abbiamo la mentalità del gruppo; ne parliamo ma non lo facciamo».
Ma allora è per «solidarietà» che ha scelto la cinquantaseienne Madonna?
«Nell’ultimo concerto non stava bene e lo sapeva, aveva dei problemi. Non l’avevo mai vista così, è persino arrivata in ritardo sul palco. Così ci siamo sentite parecchie volte e un giorno mi ha detto che stava registrando il nuovo album e lei non dice mai una cosa tanto per dire: ho capito. Le ho subito chiesto: “Vuoi che facciamo qualcosa insieme?”. E lei: “Sì, voglio essere di una bellezza pazzesca”. Ecco come è andata. E se ho agito d’istinto, poi ho pensato che sarà anche tanto criticata ma tutte queste young pop star vogliono essere lei o meglio di lei. Pensando poi alle mie clienti, mi sono detta: chi non vorrebbe essere bella, potente, famosa a cinquant’anni?».
Lady Gaga, nella campagna precedente, ha fatto un sacco di storie in fase «approvazione» immagini. E Madonna?
«Con Lady Gaga è stato un po’ più complicato. D’altronde lei punta su trasformismo e carisma e rischia per questo, sempre. Così sull’approvazione finale delle foto è stato un corpo a corpo. Ma Madonna assolutamente no. Le ho solo fatto credere che c’erano il set e i filtri e il resto. Poi in studio a New York ha fatto tutto lei... o quasi».
Molti ritocchi?
«Non molti! Lei per prima non ha voluto. Avrebbe potuto sembrare una trentenne. E invece ne dimostra 40-45. Non ha un addominale ritoccato o un braccio levigato. Io però glielo avevo detto: non devi essere solo-sesso! Ti voglio come ti conosco io: una persona vulnerabile, che ha paura, che soffre di solitudine e nello stesso tempo forte, determinata, impavida. In questi scatti lei è così. E penso che quando li guarderà fra vent’anni si riconoscerà».
Vi crit
icate?
«Qualche volta: lei dice a me che sbaglio lo stylist e io, per vendetta (e ride) le dico “ma chi ti veste?” quando fa confusione con le cose».
Da quanti anni siete amiche?
«Da quando è nata Lola, 17 anni fa, anzi no, prima. Dico una cosa che non ho mai raccontato: quando morì mio fratello, presi un volo, la notte, per Miami. Quando arrivai ad aspettarmi, nella villa di Gianni, c’era lei, Madonna. Non lo dimenticherò mai. Lei è una diffidente per natura perché ha cominciato da zero e ne ha passate tante. Ma ci siamo intese subito. Fuori dalle sala parto, per Lola e Rocco, ci sono sempre stata».
Che cos’è l’amicizia?
«Condivisione. Delle tue emozioni. E non importa quanto tempo, ma esserci. Ho tanti amici, ma non tanti veri, però questi sanno che possono contare su di me. Se un’amica ha bisogno mollo tutto e vado».
Dicono che una volta famosi non si riesca più a distinguere fra veri amici e adulatori.
«Lo capiamo benissimo, magari facciamo finta di niente. E spesso ci sentiamo sole».
Ha mai «mixato» le amicizie?
«Ci ho provato. Una volta ho fatto fare pace a Jennifer Lopez e Courtney Love. Lady Gaga vorrebbe tanto... ma Madonna è Madonna. Io glielo dico: “Sei tremenda”. Ma come lei solo Hillary Clinton: controllo e controllo, nessuna iniziativa agli altri».
Parlate mai di quando sarete vecchie?
«Figuriamoci e perché dobbiamo intristirci? Prima la gente era sessista ora è age-ista: eh no! L’età è uno stato della mente. E poi con l’arte non ha nulla a che fare. Detto questo rughe e ciccia non piacciono a nessuno. Quindi perché non prendersi cura del proprio corpo? Per Madonna è un lavoro, tutti i giorni, 4 ore. Io faccio palestra da 28 anni, ora tre volte la settimana, alternando yoga, pilates e corpo libero. Mi piace pensare che abbia a che fare con la disciplina più che con l’edonismo».
Femminismo è?
«Anche femminilità. Oggi si fanno molte cose in nome del femminismo, io preferisco l’impegno nel sociale delle donne. Penso a Madonna e al suo ospedale in Malawi, al quale ha girato subito il compenso della campagna con noi, per esempio. O ad Angelina Jolie e tutto quello che sta facendo con la sua fondazione».
Esprima un desiderio: dopo Madonna chi?
«Angelina Jolie anche se lei è una donna che gioca da sola, non fa gruppo.
Un secondo desiderio: una nuova amica?
«Malala, prima del Nobel avevo provato a mettermi in contatto. Ora aspetterò: vorrei sedermi con lei a parlare. E poi mi piacciono tutte queste nuove ragazze che vengono dall’Hip Hop, dalla strada, come Nicki Minaj, altro che Miley Cirus: loro sanno cos’è la fratellanza, finalmente».
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