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Villa Imperiale Pausilypon - L’Infinito Giacomo e Mamma
Venerdì 25 luglio sarà in scena Rino Martino in Mamma
Piccole tragedie minimali
di Annibale Ruccello
per la regia di Antonella Morea
Quattro monologhi dove la favola si confonde con la vita, attraverso gli occhi di quattro madri che hanno a che fare con la pazzia, l’alienazione e la pura realtà che confonde. Tra suore che rappresentano la perdita irrimediabile della fantasia e urla a bambini che si chiamano come i divi o i personaggi della televisione, c’è spazio per il rimando a una realtà che non esiste, quella delle favole che però assumono sempre più i tratti del mondo vero.
Deliri verbali fondati sulla contaminazione e alterazione del linguaggio. La ritualità e il mondo popolare rappresentano il motore di tutta la messinscena, dove l’ambiguo maschile/femminile esprime al meglio il carattere tragicomico dei personaggi.
Il risultato è un caleidoscopio di parole che è più vicino alla vita di quanto lo sia alla favola, senza, però, togliere spazio alla fantasia e all’immaginazione.
L’Infinito Giacomo e Mamma
Napoli, Villa Imperiale Pausilypon – mercoledì 23 e venerdì 25 luglio 2014
Ingresso da Grotta di Seiano (Via Coroglio) ore 21.00, inizio spettacolo ore 21.30
Ingresso euro 12 (intero), euro 10 (ridotto) - info e prenotazioni al numero verde 800024060
email info@capuanticafestival.it biglietterie presso il sito archeologico e prevendite abituali
L'INFINITO Giacomo
Vizi e virtù di Giacomo Leopardi
ritratto inedito del poeta attraverso le sue opere
musiche di Mozart Bach Beethoven Chopin Rachmaninov Dvořàk
con Giuseppe Pambieri
drammaturgia e regia Giuseppe Argirò
“L’imperfezione del genio, in tutta la sua irregolarità, conduce alla solitudine, a un pellegrinaggio estenuante nell’universo.
Leopardi è un re senza regno, è Amleto che arriva oltre il limite del conoscibile, supera la coscienza affermando la vita nel suo groviglio inestricabile di bene e male; per il genio tutto è noia, è tedio incommensurabile. Il poeta di Recanati, con lucido disincanto, affonda a piene mani nella verità e ne trae la radice del dolore. È inutile chiedersi a che punto sia la notte; la notte non finisce… mai. I regni, i globi, i sistemi, i mondi, non sono che una pallida rappresentazione del pensiero dell’uomo, ma l’anima giace nelle profondità ed è a tutti invisibile tranne al poeta che può profanare il suo mistero e consegnarlo all’uomo.
Leopardi, affettuosamente Giacomo, nel nostro viaggio, non appare così distaccato e lontano dai piaceri terreni, non ci sembra affatto disinteressato a ciò a cui aspira la gente comune. Giacomo è vulnerabile, ansioso, riservato, schivo, eppure è pervaso da un desiderio inesauribile di vita. Giacomo è goloso, non può fare a meno di dolci, cioccolata, paste alla crema e gelati. In questo ricorda Mozart, altra creatura divina nella sua sregolatezza. Non a caso alcune delle sue più scandalose composizioni, fanno da contrappunto agli aneddoti più divertenti della vita di uno dei massimi autori italiani.
La biografia romanzata che esce fuori dalle pagine dell’Epistolario e dello Zibaldone, ci aiuta a costruire un ritratto singolare ed inedito del nostro poeta. Leopardi, con grande sincerità, confessa le sue paure come la sua fobia per l’acqua, un fastidio che giungerà al parossismo e alla comicità, culminando nel rifiuto del bagno almeno settimanale. Non mancano gli spunti divertenti per riflettere sul suo rapporto con l’eros e la sessualità. Nelle sue stesse parole, il desiderio di una vita normale, è incessante: il dono della poesia appare spesso come una maledizione divina che lo segna come diverso, lo condanna a una sofferenza eterna e lo affranca contro ogni sua volontà dal mondo che lo circonda. Ecco, questa è la figura dilaniata, spesso scissa, combattuta e afflitta che la parola non può contenere. Leopardi non è tutto nella sua poesia. La sua ricerca affettiva attraversa i secoli e incontra una disperata umanità che per sopravvivere alla storia che avanza, non può che stringersi in una solidarietà reale che diventa l’unica possibilità di sopravvivenza, ancora oggi per tutti noi.”
Giuseppe Argirò
TTR
presenta
Mamma
Piccole Tragedie Minimali
di Annibale Ruccello
con Rino Di Martino
regia Antonella Morea
Dopo quattro anni di collaborazione con il teatro Bellini non soltanto come attrice ma anche come docente stagista all’Accademia Teatrale ecco che come ennesimo attestato di stima mi è arrivata la proposta di scegliere un testo di teatro per Rino Di Martino e di farne anche la regia. Ho provato un immenso piacere ma anche una immensa paura: non
mi sono mai trovata dall’altra parte e proprio non so come si sta fuori dal palcoscenico.
Che testo scegliere? Su quale territorio muoversi?
Sul piano della drammaturgia contemporanea la scelta non poteva che ricadere su Annibale Ruccello.
Annibale, che conoscevo dai tempi di “Gatta Cenerentola” quando, ricordo, assisteva a tutte le nostre prove e collaborava con il nostro comune maestro Roberto de Simone.
Annibale con il quale avevo ed ho in comune il mondo popolare che lui conosceva bene in quanto studioso di antropologia e delle tradizioni popolari e che io cominciavo a conoscere ed amare e che giorno per giorno mettevo in pratica recitando cantando e “tammurriando”. Annibale infine autore di “Anna Cappelli” che è stata la mia prima fortunata esperienza di monologante.
Ho scelto per Rino Di martino “Mamma” Piccole tragedie minimali, quattro monologhi dove mamme malefiche raccontano ancora fiabe e che poi via via si trasformano nei vari episodi in figure irrimediabilmente corrotte dai mass-media, una folla di donne
attorniate da ragazzini che si chiamano Deborah, Samanta, Morgan, nelle cui conversazioni si confondono messaggi personali, echi televisivi, slogan di rotocalchi; dove la pubblicità si sovrappone alle confidenze – le telenovelas alla sfera privata e gli inni liturgici alle canzonette di Sanremo.
Deliri verbali fondati sulla contaminazione e alterazione del linguaggio. La perdita di rituali propiziatori e liberatori usati nel mondo contadino come protezione e rivelazione dell’inconscio. La contaminazione cui tali rituali sono stati sottoposti dall’ingresso dei media con la conseguente perdita dell’identità collettiva.
La ritualità e il mondo popolare saranno il motore di tutta la messinscena dove l’ambiguo maschile/femminile esprime al meglio il carattere tragicomico dei personaggi.
Antonella Morea
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