Sinossi 'L'ultimo raggio di luce'
Un bimbo che cresce lontano da casa. Una diagnosi che non si spiega. E il ritorno di un uomo. Che non trovando luce negli occhi di una madre, decide di scagliarne, almeno lui, un ultimo raggio.
Note di regia
Spettri orienta verso una lettura drammatica, goffa, grottesco, dell'eterno ritorno nietzschiano. La metafisica consolatoria del filosofo si rompe, con Ibsen, in una ridicola fisica del dissolvimento: noi non siamo noi, ma solo chi ci ha preceduti. Spettri non è il ritratto della malattia che il padre trasmette ad Osvald, ma lo squarcio che evidenzia un male ben peggiore: la potenza della tara, il peso di chi ci precede, la farsesca contraddizione che svilisce, atterra, ridicolizza la pur autentica 'modernità' di una madre. E 'L'ultimo raggio di luce', ipostasi di Spettri, porta alle estreme conseguenze la fatalità di questo male, l'ineluttabilità dello smembramento. Mettendo in scena non il trascendere patologico di un sangue ma, come Ibsen ci sussurra incendiando un asilo, bruciando il ritratto di un uomo che tenterà di di far evader l'evidenza dal carcere della foschia. Ma l'Arte è la voluttà di un epoca, non la volontà di un uomo. E il quadro con cui Lorenzo tenterà di esorcizzare il dogma d'acciaio della tara, con cui tenterà di far fuggire la luce dal buio, come comandato da una superiore indicazione seguirà non l'indicazione di una dolce, disperata mano, ma solo quella, spietata, del suo Tempo.