I GIUDIZI SFERZANTI DI MARIO MONICELLI, L’ULTIMO GRANDE REGISTA DELLA MALA ITALIA - 1- DAL FASCISMO, "IL SISTEMA CHE HA FATTO DI PIÙ PER IL CINEMA ITALIANO, DAI LITTORIALI ALLA MOSTRA DI VENEZIA", AI DEMOCRISTIANI, "I PIÙ TOLLERANTI", FINO AL GOVERNO BERLUSCONI, "CHE LO ODIA, NEGANDOGLI I MEZZI E I FINANZIAMENTI NECESSARI" - 2- "STORIE VERE, VISSUTE. NON COME QUELLE INVENTATE, NON COME QUELLA MASCALZONATA DI BENIGNI IN ’’LA VITA È BELLA’’, QUANDO ALLA FINE FA ENTRARE AD AUSCHWITZ UN CARRO ARMATO CON LA BANDIERA AMERICANA. QUEL CAMPO LO LIBERARONO I RUSSI, MA... L’OSCAR SI VINCE CON LA BANDIERA A STELLE E STRISCE, CAMBIANDO LA REALTÀ" - 3- SUO PADRE TOMMASO, DA DIRETTORE DEL "RESTO DEL CARLINO", SCRISSE UN EDITORIALE DURISSIMO CONTRO IL REGIME, IN OCCASIONE DEL DELITTO MATTEOTTI. "FUMMO ASSALITI, LA NOSTRA VILLETTA FU PRESA A SASSATE DAI FASCISTI. AL MOMENTO DELLA LIBERAZIONE, TUTTI SI DIMENTICARONO DI LUI. UNA MATTINA DEL 1946, ALL’ALBA, ANDÒ IN BAGNO E SI SPARÒ. AVEVA 63 ANNI. E IO C’ERO, QUANDO MIA MADRE LO TROVÒ IN TERRA" - 1- BARBARA PALOMBELLI INTERVISTA MARIO MONICELLI. DA "REGISTI D'ITALIA", RIZZOLI, 2006
L'ospedale S. Giovanni a Roma dove era ricoverato - foto GMT Roma. Luci accese in un piccolo appartamento-studio affacciato sui vicoli del rione Monti, sulla scrivania piena di carte c'è un libro aperto, dalle finestre s'intravede il Colosseo illuminato. L'uomo in jeans e pullover che abita da solo in questo spazio dipinto di azzurro si muove come un ragazzo, eppure sta per compiere novant'anni.
La salma del regista coperta da un telo - foto GMT Fra poco racconterà, con la durezza e la sincerità che sono sue come uno stemma di famiglia, cosa pensa dell'inestricabile rapporto che lega fra loro il cinema e la politica. Dai tempi del fascismo, «il sistema che ha fatto di più per il cinema italiano, dai littoriali alla mostra di Venezia», ai democristiani, «i più tolleranti», fino al governo Berlusconi, «che lo odia, lo sta facendo spegnere lentamente, negandogli i mezzi e i finanziamenti necessari».
Il balcone al 5° piano - foto GMT Si comincia dall'ultima polemica... «Un film su Bettino Craxi e su Tangentopoli? Forse, ci vorrebbero dei comici, per raccontare gli intrallazzi di quegli anni... Dovrebbero usare, comunque, delle maschere, dei personaggi di fantasia, come abbiamo sempre fatto. Il nostro cinema, finora, ha raccontato direttamente soltanto un uomo politico: Aldo Moro. Prima, quando era al vertice del potere, lo hanno fatto, con Todo Modo, Leonardo Sciascia ed Elio Petri... Da morto assassinato, alcuni documentari per addetti ai lavori hanno indagato sui cinquantacinque giorni del sequestro. Io, poi, il film su Craxi non potrei farlo: sono uscito dal Psi dopo più di trent'anni, insieme a Comencini, Age, Scarpelli, giusto un anno dopo la sua elezione, alla fine degli anni Settanta: avevamo capito subito che piega avrebbe preso il partito... »
L'ospedale S. Giovanni a Roma dove era ricoverato - foto GMT Mario Monicelli oggi si definisce senza esitare: «Un comunista». E subito si spiega: «Spero che qualcuno ricominci daccapo, evitando gli errori commessi nel Novecento e realizzi una società più giusta, una società senza schiavi. Prima di Craxi, ero un socialista marxista, dopo ho sempre votato il Pci e un paio di volte per la sinistra ancora più a sinistra... Nel dopoguerra, tutti noi cinematografari eravamo di sinistra, non ho mai conosciuto un regista di destra, né ho memoria di film ispirati a temi o personaggi di destra. C'era l'egemonia, eccome.
L'ospedale S. Giovanni a Roma dove era ricoverato - foto GMT A parte qualche cattolico dossettiano, come Ermanno Olmi, a parte le paure di Fellini, che era un teosofo seguace del veggente Rohl, ma si andava a raccomandare da monsignor Arpa, una specie di santone cristiano, a parte l'attuale Pupi Avati, che ha diretto la tv dei vescovi e fa il cattolico, a parte il Rossellini segreto che pregava in privato e Franco Zeffirelli che ha un gusto innato per le cerimonie e i fasti religiosi... tutti gli altri, a sinistra. Dovrei parlare di Pasquale Squitieri, che ora fa il destro, ma è meglio non dire...».
monicelli Tutti a sinistra. Compresi gli squali, i megaproduttori miliardari con ville, piscine, automobili e dive al fianco? «Brava. Era proprio così. Intanto, erano tutti ex poveracci arricchiti in fretta negli anni del boom, senza stile, molto artigiani. Avevo scritto un film che si chiamava proprio Gli squali, ma Franco Cristaldi, che era un siciliano benestante, parente dei Marzotto, lo rifiutò perché lo trovava "anticapitalista", erano storie di imprenditori cialtroni... Eppure, Cristaldi aveva prodotto I compagni, ricordo che a una proiezione al palazzo dei Congressi a Roma i socialisti presenti in sala, divisi fra massimalisti e autonomisti finirono per picchiarsi, i primi accusavano i nenniani di calarsi troppo le braghe...
Mario Monicelli La verità è che i produttori si buttavano a sinistra perché volevano essere liberi. Al cinema e nella vita privata. Dino De Laurentiis, quando s'innamorò della Mangano, doveva trovare il modo di separarsi dalla sua bella moglie Bianchina e tentò una serie di pasticci legali fra il Messico e San Marino; Carlo Ponti si vantava di essere un avvocato socialista, anche lui aveva un secondo matrimonio in programma, con la Loren... il divorzio non c'era ancora. La Democrazia cristiana, sorniona, lasciava correre. Tanto, c'era la censura.»
u mon42 murgia monicelli Perfino Guardie e ladri, con Totò e Aldo Fabrizi, fu tagliato: «L'idea che un poliziotto e un truffatore potessero fare amicizia, nell'Italia degli anni Cinquanta, si disse, minava le basi della società italiana. Problemi politici anche per Totò e Carolina, storia di una ragazza madre in viaggio con un agente di polizia. L'accusa? "Sovvertiva la morale." Il fatto è che a presiedere la commissione c'era un fascista sopravvissuto al crollo del regime, tale Annibale Scicluna Sorge, un maltese nazionalista, uno che partì in barca e arrivò qui per consegnare Malta a Mussolini...».
u mon03 monicelli villaggio Mario Monicelli è appena rientrato dal Marocco - gira un film, ispirato al romanzo di Mario Tobino, Il deserto della Libia, il libro aperto sul tavolo da lavoro - e un filo di abbronzatura gli dona. Sorride: «La cosa più difficile è trovare gli attori, oggi, per una storia degli anni Quaranta. Noi militari eravamo piccoli e plebei, con le gambe corte, il culo basso. Oggi i ventenni sono tutti alti e palestrati, sembrano ballerini...».
La guerra italiana, con il suo fango, il troppo caldo e il troppo freddo, la piccola viltà e i grandi eroismi sospesi fra il ridicolo e la solennità: nel cuore del regista c'è ancora spazio per raccontarla.
Aldo Moro Dopo aver girato La grande guerra, il suo capolavoro, vuole raccontare la sua Libia. Allora, racconta, fu dura, «con quella storia avevo rotto un tabù: i due lavativi, Sordi e Gassman, erano reali, esattamente come i seicentomila morti del ‘15 - ‘18 celebrati in tutte le piazze. Giulio Andreotti, a quel tempo ministro della Difesa, in principio mi assicurò il suo sostegno, che consisteva nel fornire un po' di armi, divise e ferrivecchi. Tutta la stampa ci saltò addosso, con editoriali in prima pagina, e lui ritirò il suo assenso. Finimmo, con De Laurentiis, a girare in Yugoslavia. Dove io avevo combattuto una parte della mia guerra vera, quella che i bollettini ufficiali raccontavano come fosse già vinta, dopo l'entrata di Hitler a Parigi.
Un immagine di Bettino Craxi ad Hammamet Ricordo i miei coetanei che partivano allegri, incoscienti: sicuri che avremmo vissuto sei mesi da dominatori del mondo, ci saremmo fatti le nere, le russe, una gran pacchia. Cantavano, "Colonnello non voglio armi... la fine dell'Inghilterra incomincia da Giarabub", la famosa oasi che aveva resistito... E io invece, da antifascista, tifavo per il nemico. Partivo con un esercito di disperati, guidati da ufficiali ridicoli, senza illusioni, finisce sempre così per noi...».
roberto rosselliniStorie vere, vissute. «Non come quelle inventate, non come quella mascalzonata di Benigni in La vita è bella, quando alla fine fa entrare ad Auschwitz un carro armato con la bandiera americana. Quel campo, quel pezzo di Europa lo liberarono i russi, ma... l'Oscar si vince con la bandiera a stelle e strisce, cambiando la realtà.» Il ragazzo di novant'anni ha ancora un'autentica passione per la politica. Se l'ha nascosta dietro un apparente cinismo, nutrito con ideali e battaglie soltanto cinematografiche, è per una ferita privata, antica.
Dino De Laurentiis Suo padre Tommaso, critico e giornalista, giovane nazionalista e camicia azzurra, aderì in un primo momento al fascismo. Da direttore del «Resto del Carlino», nella Bologna del federale Leandro Arpinati, si ribellò: scrisse un editoriale durissimo contro il regime, in occasione del delitto Matteotti.
CARLO PONTI e Sophia Loren «Fummo assaliti, la nostra villetta fu presa a sassate dai fascisti, ci difendevano i militari, avevamo due o tre soldati in cantina con i fucili. Ero ragazzino, mi sentivo in battaglia. Mio padre fu licenziato e non rientrò mai più nel giornalismo attivo. Intanto, i nostri parenti più stretti, i Mondadori, si erano allineati: vendevano libri a tutte le scuole del Regno. Lui non si piegò. Durante la Resistenza, aiutò i giornali clandestini.
Al momento della Liberazione, tutti si dimenticarono di lui. Una mattina del 1946, all'alba, nella casa di via Adige, andò in bagno e si sparò. Aveva sessantatré anni. E io c'ero, quando mia madre lo trovò in terra.» I giornali pubblicarono la notizia «in quattro righe». Storie italiane. Tanto coraggio, tanta viltà e tanto conformismo. Gli ingredienti delle nostre vite e delle nostre commedie.
Alberto Sordi 2- MONICELLI, LA GRANDE GUERRA È FINITAMalcom Pagani per "il Fatto Quotidiano"
Allora, scomparsa la mansarda con vista sul Colosseo, i quadri, i rumori di pentole, i richiami bonari ("Mario, è pronto a tavola, lascia quel telefono"), con le abitudini di una senilità severa è tramontata anche l'illusione dell'indipendenza, tra referti, dottori dallo sguardo grave, luci al neon e dolori, Mario Monicelli è volato via a 95 anni, buttandosi dal quinto piano dell'ospedale San Giovanni di Roma.
Vittorio_Gassman Un salto dal quinto piano, l'ultimo schiaffo al male oscuro, il gesto che anticipa con decisione, dopo un solo giorno di ricovero, quello che la morte sta per toglierti. In un attimo. Come accadde a Lucentini e nel 1946 a suo padre Tommaso, giornalista, amico in gioventù del Duce, poi antifascista.
Un colpo, un cesso modesto come palcoscenico del proprio saluto estremo e come sintetizzò il maestro sul proprio genitore, una buona giustificazione per decidere di non esserci più: "La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena". Mario Monicelli è stato uno dei nostri registi più intelligenti.
i soliti ignoti locandina Virtuoso di una messa in scena che non dimenticasse mai l'estrazione popolare di chi allo spettacolo assisteva: "Il cinema che non passa la prova del borgataro non ha futuro". Monicelli iniziò giovanissimo, trasvolando nell'Africa italiana per farsi le ossa, incontrando la censura clericale, per "Totò e Carolina" e "Guardie e ladri", (Mario adorava De Curtis) e fotografando l'Italia nella commedia di costume che segnò il crepuscolo degli anni '50.
Locandina La Grande Guerra I soliti ignoti, con Vittorio Gassman, Mastroianni e indimenticabili caratteristi come Capannello (Carlo Pisacane) : "Mo io sai che faccio? Mi faccio una bella amante: le dò venticinquemila lire al mese, magari trenta, guarda... ma con il vitto a carico suo...", valse al film una candidatura all'Oscar. Erano i grandi anni delle sceneggiature nate in Via della Croce, da Otello, dove Age Scarpelli e una banda di intellettuali senza spocchia (Monicelli aveva imparato l'arte di convincere i collaboratori stando attento a non imporsi, sui set sahariani, al principio carriera, sotto le grinfie di Augusto Genina), disegnavano la miglior fotografia in tempo reale della nazione.
la grande guerra Quella rivolta invocata lo scorso 25 marzo, in un palasport bolognese che lo ascoltava ammirato nella cornice di Rai per una notte: "In questo Paese ci vuole la rivoluzione", era stata la lezione di Mario, sia che disegnasse coraggio e viltà degli italiani affrontando un tabù fino ad allora inesplorato ne "La grande guerra": Chi va là? Ma che fai aho, prima spari e poi dici chi va là? È sempre mejo ‘n amico morto che ‘n nemico vivo! Chi siete? Semo l'anima de li mortacci tua!" "E allora passate!" o che rievocasse il socialismo torinese di fine ottocento ne "I compagni", (conosceva bene generosità e miserie della sinistra).
I soliti ignoti Seppe far ridere come in Amici miei, riflettere sorridendo restituendo i vagheggiamenti golpisti in "Vogliamo i colonnelli" e lasciare senza parole decrivendo la vendetta di un uomo normale, ne "Il borghese piccolo piccolo". Poi, iniziò a lavorare di meno, con più difficoltà, legando al disgusto per ciò che osservava viaggi e miraggi della senescenza. Così lo potevi trovare in piazza a Genova nei giorni del G8, o ad ammonire sui mali del capitalismo. Sempre freddamente: "Il cuore non è il cervello. Per raccontare il contesto serve obbiettività. L´occhio impassibile sul presente, se si vuole illuminare un angolo buio, è sempre necessario. Le smancerie, nell´ambito di qualsiasi arte vanno bandite come la peste".
guardie e ladri jpeg Sugli italiani e sul loro carattere, avrebbe potuto scrivere un'enciclopedia. "Ha un carattere doppio, bifronte, inquinato dagli espedienti e dalle verità nascoste. Quando ha il coltello dalla parte del manico, poi è spietato. Ma mai, neanche se costretto, è generoso. È più forte di lui, non è abituato".
Amici Miei Negli ultimi anni, quest'uomo che sceglieva sempre ogni parola con accuratezza, che si spazientiva durante le interviste: "Non sono un filosofo, quanto dobbiamo parlare ancora?", era riuscito nell'impresa di mantenersi lucido, girare un film a 90 anni: "Le rose nel deserto" e non trovare, pur cercandoli i fiori necessari a sopravvivere nel suo giardino. Il suo giudizio era secco, sfrontato, indifferente alla valutazione esterna. Parlava Mario e non temeva il contraddittorio: "Ci ha fregato il benessere. La generazione che l'ha toccato per prima si è illusa che fosse eterno, inalienabile. Invece era stato conquistato dai padri con sofferenza e sacrificio.
Amici miei Così l'ha dissipato senza trovare la formula per rinnovare il miracolo e gli eredi di quel gruppo umano, hanno deluso le aspettative ad ogni livello. Gente senza carattere, priva di ambizioni, sommamente pretenziosa e basta". Un'istantanea contemporanea. Di Monicelli sarà difficile dimenticare, nome, arte, spirito, sogno. Non è mai stato indulgente. Lui giudicava. Cattivo, giusto, unico.