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Al Torino Film Festival, I figli della notte, unico film italiano in corsa
In un festival in cui i ragazzi sono alle prese con maternità precoci e con i soliti problemi esistenziali che finiscono in commedia, meglio questi 'I figli della notte', opera prima di Andrea De Sica, figlio d'arte due volte. È infatti nipote di Vittorio De Sica (il padre era Manuel) e ha come madre la produttrice Tilde Corsi. Trentacinque anni, laureato in filosofia e cinefilo accanito, porta al Torino Film Festival questa sua opera prima, unico film italiano in concorso, che mischia i generi.
Un lavoro che guarda, tra favola e thriller, a Lynch, Bellocchio e Tatì e con protagonisti due sedicenni, abbastanza sulfurei per non essere stucchevoli, che si trovano in un inquietante collegio, tra le montagne di Dobbiaco, che cita l'Overlook Hotel di Shining. In questa antica struttura asburgica, che ha ospitato tra gli altri Gustav Mahler, si consuma l'abbandono di due adolescenti: Giulio (Vincenzo Crea) ed Edoardo (Ludovico Succio). Nonostante la differenza di caratteri, i due diventano amici in questa struttura per "i dirigenti del futuro" dove, non solo si rispettano le regole, ma si accetta anche, velatamente, la trasgressione (virtù funzionale per i manager). Per i due sedicenni, fenomeni di bullismo e insegnanti inquietanti come Mathias (Fabrizio Rongione). Unica valvola di sfogo, di notte, una casetta nel bosco, come quella di Hans e Gretel pieno di zeppa di escort come Elena (Yuliia Sobol).
"Il film nasce da esperienza diretta di persone a cui sono molto legato e che sono state in collegio - dice a Torino il regista classe 1981 - Mi ha incuriosito che in un collegio negli anni 2000 si abbandonassero ancora sedicenni alle prese con scelte che potevano cambiare la loro vita. Partito da qui mi sono lasciato trasportare dalla mia fantasia e dalla mia idea di cinema, per fare sì un film sugli adolescenti, ma anche di genere". L'idea era anche quella di raccontare "una storia di formazione e di crescita di persone normali che potrebbero diventare potenzialmente pericolose".
Ne I figli della notte, riconosce Andrea De Sica, c'è un po' una lezione che gli viene dal nonno "nella ricaduta di scelte degli adulti sui loro figli, un po' come accade ne 'I bambini ci guardano'. Si tratta, in certi casi, di sopravvivere alla scelta dei genitori o morire". Sulla inaspettata difficoltà di essere 'figli d'arte' dice: "E' quasi più difficile essere figlio di un produttore, come è mia madre, che essere il nipote di Vittorio. Qualcuno mi ha anchE detto: perché non lo fai produrre a tua madre? Bisogna avere pazienza". L'opera prima di Andrea De Sica, ancora senza distribuzione, ha ricevuto il sostegno da IDM Film Commission dell'Alto Adige ed è prodotto da Vivo Film Srl con Rai Cinema, in co-produzione con la società belga Tarantula.
'I figli della notte', l'esordio alla regia di Andrea De Sica con l'unico film italiano in concorso al Torino Film Festival
Quando si è adolescenti e si è molto ricchi, uno dei problemi più grandi può essere dato dalla solitudine e dalla mancanza di attenzione che si cerca di ottenere in ogni modo (anche con gesti estremi) da quel mondo degli adulti che pare non volere o non riuscire a comprenderli.
Holden Caulfield, il sedicenne americano protagonista di ‘The catcher in the rye’ (da noi, ‘Il giovane Holden’), è sempre solo in quel college da cui viene espulso per via di una condotta scolastica non proprio esemplare, ma è talmente stufo di quel posto esclusivo – dove basta davvero poco per essere derubato dagli altri allievi o per subire, sempre da loro, pesanti atti di bullismo – che decide di andarsene tre giorni prima di quelli pattuiti. Meta stabilita: New York, a Natale, sempre (o quasi) da solo. Anche Giulio, (Vincenzo Crea) ha sedici anni ma è italiano e come Holden è alto e magrissimo, è psicologicamente emotivo, timido e molto intelligente. Non ha più il papà, morto durante un’immersione, e sua madre, dopo l’ennesima ‘bravata’, decide di portarlo in un collegio tra le Alpi, una sorta di prigione dorata dedicata ai rampolli come lui, “ai futuri dirigenti del Paese”, come tiene a precisare il preside durante il discorso di benvenuto, ricordando la rigida disciplina da rispettare, tra cui niente internet e la possibilità di usare il cellulare solo per trenta minuti al giorno. Nulla rispetto alle violenze e alle minacce degli studenti più grandi che tutti, pur subendole, fanno finta di non vedere. Giulio decide di denunciare la cosa, ma le sue lamentele al preside e all’educatore Mathias (Fabrizio Rongione) – che lo delude proprio come il professor Spencer di Holden - non serviranno a nulla, perché anche tali episodi “rientrano in quel sistema educativo”, come gli farà notare Edoardo (Ludovico Succio), un altro ospite di quel luogo ameno e sempre buio, illuminato da luci soffuse o bianche che rendono ancora più spettrale il tutto, a cominciare proprio da quel lungo corridoio con pareti verde chiaro che non può non far pensare a Shining. Atmosfere con chiari rimandi a Lynch, a Bellocchio e a Tati che ritroveremo anche nelle fughe notturne nel bosco vicino verso un luogo proibito dove, proprio come fa il personaggio di Salinger, conosceranno diverse prostitute, tra cui Elena (Yulia Sobol), una ragazza più interessata alla materialità che ai sentimenti. Le soprese non mancheranno e per loro non saranno sempre piacevoli…
ludovico succio
Giulio ed Edoardo sono i due protagonisti de ‘I figli della notte’, l’esordio alla regia di Andrea De Sica, la vera sorpresa della trentaquattresima edizione del Torino Film Festival, unico film italiano in concorso, “una storia che nasce da un’idea legata ai miei anni di liceo e ad alcune persone che hanno segnato la mia vita”, ci spiega l’autore quando lo incontriamo nella città sabauda. “Volevo raccontare un universo giovanile che mi sembrava poco esplorato – aggiunge - un mondo vitale e fragile allo stesso tempo dove sentimenti innocenti e sentimenti aggressivi convivono senza distinzione”. Nipote di Vittorio De Sica, figlio dello scomparso Manuel (musicista e autore di indimenticabili colonne sonore) e della produttrice Tilde Corsi, Andrea De Sica è riuscito nel suo intento e con una grande maestria, pur essendo al suo primo film, è stato capace di realizzare una storia che convince e che conquista. Gli adolescenti di cui ci racconta sono dei privilegiati ed hanno problemi ‘da ricchi’, questo è evidente, ma dentro quel collegio diventano come tutti gli altri, perché il ‘fuori’ viene messo da parte e c’è spazio solo per (ri)trovare se stessi. Quel che conta davvero è fare delle scelte in quel posto difficile che è poi il simbolo delle non semplici relazioni tra genitori e figli oltre che del passaggio dall’infanzia all’età adulta. Tutti loro, in maniera diversa, ma solo per piccoli dettagli, vivono quel periodo particolare dove o si muore o si sopravvive, un’età indefinita dove tutto è ancora possibile, ma che spesso è segnata da esperienze capaci di trasformare il proprio destino. Hanno sedici anni o poco più, non riescono a risolvere le ferite lasciate da altri e quello di cui hanno bisogno è un gesto di affetto e di aiuto che li riporti dal buio alla luce il più presto possibile.
Prodotto dalla Vivo Film di Marta Donzelli e Gregorio Paonessa (gli stessi dei film di Michelangelo Frammartino, Emma Dante e Laura Bispuri), in coproduzione con Tarantula e in associazione con HDRÀ, ‘I figli della notte’ è stato girato interamente in Alto Adige, a Dobbiaco, in un hotel in stile asburgico dell’Ottocento, divenuto oggi un Centro Culturale, dove tutta la troupe (tra cui la scenografa Dimitri Capuani, la costumista Sabine Zappitelli e il direttore della fotografia Stefano Falivene) ha vissuto in simbiosi per più di due mesi.
L’uscita nelle sale è prevista il prossimo anno, ma è ancora in attesa di un distributore speriamo non tardi ad arrivare. Sì, perché questa favola nera, come l’ha definita il regista – che è anche sceneggiatore con Mariano Di Nardo e autore delle musiche originali (“un omaggio a mio padre, l’ho fatto per gelosia”) di una colonna sonora impreziosita da ‘Vivere’ di Pavarotti (cantata da Tito Schipa) e ‘Ti sento’ dei Matia Bazar, utilizzate entrambe in due momenti molto significativi – è una storia che ti entra dentro e non ti lascia. Nei suoi quasi novanta minuti di alta tensione, in un’atmosfera sospesa tra il sogno e la realtà (che è spesso un incubo), la suspence fa il suo gioco (o più di uno) di pari passo con le emozioni e niente è scontato. Dopo Gabriele Mainetti e il suo ‘Jeeg Robot’, un altro esordio con lode nel cinema italiano. Assolutamente sorprendente, ne sentiremo parlare a lungo.
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